Pagine

venerdì 7 agosto 2020

Il Kon-Tiki e quel naufragio che diede inizio alla leggenda

Uno smilzo equipaggio su una zattera in legno di balsa, in balia dei flutti su un mare in tempesta, è davanti alla terribile prospettiva di un naufragio.
E' il 7 agosto 1947 e a bordo ci sono sei marinai norvegesi dalle barbe lunghe: Thor Heyerdahl, Knut Haugland, Bengt Danielsson, Erick Hesselberg, Torstein Raaby ed Herman Watzinger. Hanno viaggiato per 101 giorni su una zattera ribattezzata Kon-Tiki che ha percorso circa 3.770 miglia marine (6.890 km), con una velocità media di circa 1,5 nodi, per provare che la colonizzazione della Polinesia poteva essere avvenuta, in epoca precolombiana, da popolazioni del Sud America.
La zattera, costruita con tronchi lunghi 13,7 metri e tenuta insieme da corde in canapa, dopo un lungo viaggio si incaglia sulla barriera corallina nei pressi dell'atollo di Rairoa, nell'arcipelago Tuamotu, situato nella Polinesia francese.

Mappa dell'atollo di Raroia dove il Kon-Tiki concluse il suo viaggio. Disegno di Erik Hesselberg.


Un coraggioso esperimento condotto da sei uomini che, seguendo una insopprimibile sete di conoscenza, sono riusciti a scrivere una delle pagine più straordinarie dell'esplorazione del ventesimo secolo.

giovedì 6 agosto 2020

Gustav Holm e la scoperta della Groenlandia orientale

Il 6 agosto 1849 nacque a Copenhagen l'esploratore danese Gustav Frederik Holm.
Seguendo le orme di suo padre e suo nonno, entrambi ufficiali, entrò nella Marina Reale danese come sottotenente nel 1870, e dopo una brillante carriera fu nominato direttore del Royal Pilotage Service nel 1912, un incarico di responsabilità che ricoprì con grande successo durante la prima guerra mondiale e fino a quando non si ritirò definitivamente dal servizio, nel 1919.

I più grandi successi Holm, tuttavia, li ebbe in qualità di esploratore artico ed è così che comincia la storia che vogliamo raccontarvi.

Nella seconda metà del XIX secolo, nacque l'idea di avviare una sistematica indagine geologica e geografica della Groenlandia: l'autore di questa proposta era Frederik Johnstrup, professore di mineralogia all'Università di Copenaghen, che nel 1875 presentò un piano dettagliato al governo, il quale tre anni dopo nominò una Commissione per la direzione geologica e geografica le investigazioni in Groenlandia.
Nel 1876 Holm prese parte alla prima di una lunga serie di spedizioni nella Groenlandia occidentale come addetto al rilevamento, sotto la guida di Knud J. V. Steenstrup: le ricerche portarono alla mappatura di circa 4.000 chilometri quadrati nel distretto di Julianehåb, in cui vennero raccolte un numero considerevole di antichità e di piante
La sua conoscenza della costa orientale, la sua familiarità con i nativi della Groenlandia e con le loro tecniche di viaggio, spinsero Holm a condurre una spedizione in quelle regioni per rintracciare possibili tracce dell'occupazione norrena sulla costa orientale. 
Nel 1883 partì quindi con l’intento di seguire le acque costiere libere dal ghiaccio per mezzo di umiak, agili imbarcazioni Inuit ricoperte di pelle, ed esplorare la costa orientale, da Cape Farewell verso nord. Il suo secondo in comando era il tenente V. Garde della Royal Danish Navy, e lo staff scientifico era composto dal botanico P. Eberlin, dal mineralogista norvegese Hans Knutsen e da un gruppo di nativi, profondi conoscitori della lingua locale e delle tecniche di navigazione.

I membri danesi della spedizione lasciarono Copenaghen nel maggio 1883 e dopo un lungo viaggio proseguirono verso il piccolo avamposto groenlandese di Nanortalik per svernare, portare avanti osservazioni meteorologiche e prepararsi per il grande viaggio che avrebbe avuto luogo l'estate successiva.
Il 5 maggio tutto era pronto e la spedizione, che consisteva in trentasette persone, a bordo di quattro umiak e alcuni kayak di accompagnamento, si mise in viaggio verso la costa orientale. Di qui in avanti la morsa del pack fermò a più riprese il loro andare, finché nei pressi del ghiacciaio Puissortoq, considerato uno dei luoghi più pericolosi in quella parte della costa, metà dell'equipaggio dichiarò apertamente la propria riluttanza ad andare oltre. Holm fu così costretto a rimandarli indietro con uno degli umiak. Le barche rimaste si misero nuovamente in viaggio e dopo essersi divise, poiché parte della spedizione aveva il compito di indagare i fiordi meridionali, arrivarono sull'isola di Dannebrog raggiungendo, l'ultimo giorno di agosto, il tanto atteso obiettivo: Angmagssalik, a circa 800 chilometri da Cape Farewell.

Holm da eccellente osservatore, scrisse un brillante resoconto della vita indigena prima di tornare indietro e ricongiungersi con Garde sulla costa occidentale. 
I risultati della spedizione furono numerosi sia dal punto di vista geografico che etnologico: l’opera di Holm è uno dei primi primi resoconti moderni e scientifici sugli eschimesi, un testo fondamentale per la ricerca etnologica.



La spedizione ad Angmagssalik fu l'ultimo viaggio scientifico di Holm verso la Groenlandia, la terra verde, tuttavia quando il governo danese decise di istituire una missione e una stazione commerciale proprio ad Angmagssalik, il compito fu affidato a Holm che così nel 1894 visitò il luogo per la seconda volta. Nel periodo tra il 1884 e il 1894, infatti, la popolazione della Groenlandia orientale era drasticamente diminuita da 413 a 243 unità: per impedirne il totale spopolamento e per mantenere la sovranità danese in quel territorio lo stabilimento era di vitale importanza.
Nel 1896 Holm fu nominato membro della Commissione per la direzione delle inchieste geologiche e geografiche in Groenlandia e negli anni successivi si occupò anche di studi di storia geografica, in particolare di argomenti riguardanti l’esatta ubicazione del territorio del Vinland, scoperto da Leif Eriksson.

Gustav Frederik Holm fu un personaggio molto umile, schivo, che evitò con ostinazione di recitare un ruolo nella vita pubblica. Tuttavia, i suoi contributi alla scienza geografica ed etnologica non furono dimenticati. Nel 1890 ricevette la medaglia della Roquette della Geographical Society di Parigi e nel 1895 gli fu conferita la medaglia d'oro della Royal Danish Geographical Society. Nel 1923 fu nominato membro onorario della Greenland Society di Copenaghen e quando l'università di Copenaghen celebrò il suo 450esimo anniversario nel 1929, fu proclamato Dottore in Filosofia honoris causa.

Morì a Copenhagen il 13 marzo del 1940.

martedì 4 agosto 2020

Le Parole dell'Avventura: UMIAK

La storia dell'esplorazione artica non sarebbe stata la stessa, se gli uomini che a più riprese si avventurarono fino ai limiti del mondo conosciuto, non avessero utilizzato le stesse imbarcazioni che i popoli nordici inventarono per vincere la resistenza dei ghiacci. 

L'umiak è una tipologia di barca antichissima, risalente ai tempi dei Thule, i progenitori dei moderni Inuit canadesi (1000-1600 d.C), tipica dell'Artico centrale della Groenlandia, dell'Isola di Baffin, dei territori del Labrador, dell'Alaska e della Siberia orientale.
Fino a tempi recenti, l'umiak, che significa imbarcazione, in pelle, aperta in lingua Inuktitut, è stata il principale mezzo di trasporto estivo per gli Inuit che abitavano sulle coste, utilizzato per lo spostamento delle famiglie nelle zone di caccia stagionali e per le battute di caccia alla balena.
Poteva contenere più di venti persone e trasportare diverse tonnellate di merci; era lunga da sei ai dieci metri e larga, nella parte centrale, più di un metro e mezzo. Il telaio era costruito in legno, o utilizzando ossa di balena, e nascondeva ancoraggi fatti in corno o legno che tenevano insieme la barca. Sul telaio venivano distese pelli di foca barbata (Erignathus barbatus) o di tricheco (Odobenus rosmarus) le quali, cucite insieme e allungate asciugavano attorno al telaio, fasciandolo strettamente.
Il fondo era piatto, senza chiglia, ed entrambe le estremità erano normalmente appuntite. L'umiak era anche usato nell'Artico orientale, ma quasi esclusivamente come mezzo di trasporto. Era infatti la barca di famiglia, la cosiddetta barca delle donne, a bordo di cui venivano affrontati i lunghi viaggi estivi, proprio perché la si riteneva una barca agile, ma in grado di caricare armi e provviste, bambini, cani, tende e vestiti.
Il sistema di navigazione era piuttosto semplice: un anziano seduto a poppa controllava il timone, mentre le donne, imbracciando le pagaie, remavano e scandivano la vogata a suon di canzoni tradizionali. Quando il vento lo permetteva si preferiva navigare a vela, montandone una sull'albero posto a prua. 
Gli uomini seguivano la rotta dell'umiak pagaiando in parallelo sui loro kayak, e all'arrivo si rovesciava l'umiak sulla spiaggia, utilizzandolo come rifugio temporaneo.

Un gruppo di Copper Inuit o Kitlinermiut a bordo di un umiak a Port Epworth

Gli umiak al giorno d'oggi vengono usati raramente, poiché sostituiti da imbarcazioni a motore che ne ricordano la forma e il design tradizionali. 

domenica 2 agosto 2020

Le gelosie della ninfa e le benedizioni di Maria: storia della menta, l'erba santa

In Abruzzo quando due innamorati fanno giuramento d'amore si scambiano mazzolini di menta, recitando queste parole:
"Ecco la menta, se si ama di cuore non rallenta".
E pensare che questa pianta graziosa e profumatissima deve il proprio nome non a una lieta storia di innamorati, ma alla terribile vicenda di gelosia e morte in cui fu coinvolta una ninfa, di cui i nostri antenati greci raccontavano le dolorose gesta secoli e secoli fa.
Si dice che un tempo vi fu una ninfa di nome Mintha, figlia del dio Cocito, creatura di bellezza straordinaria e divinità dei fiumi inferi. Si dice anche che fosse l'amante di Ade, sovrano del regno sotterraneo, e che quando questi rapì Persefone per farne la sposa legittima, Mintha iniziò a fare delle tremende scenate di gelosia, arrivando a minacciare la rivale e a sostenere di esser, tra le due, la più bella. Quando però, al colmo della rabbia, aggiunse che una volta riconquistato l'amante, avrebbe scacciato l'antagonista dal palazzo reale, Persefone e sua madre Demetra decisero di farla tacere. 
Per sempre.
La presero, la smembrarono e la schiacciarono in terra; solo Ade ebbe pietà di lei e la trasformò in una pianta profumata chiamata minthe, resistente ad ogni avversità e quindi capace di crescere rigogliosa persino in inverno e di fiorire anche da recisa.
Alla menta, infatti, fanno riferimento i motti araldici, Recisa floret, tagliata fiorisce, e Hieme floret, fiorisce d'inverno, a simboleggiare la Virtù che, perseguitata, risorge sempre.



La menta è un'erba officinale, usata sin dai tempi più remoti in virtù delle sue proprietà digestive e antisettiche: viene citata nel papiro di Ebers, testo di medicina databile alla XVIII dinastia egizia, che la annotava fra le erbe più preziose, sacra ad Iside e al dio della medicina Thot. Nell'arcipelago toscano il decotto delle foglie è ancora usato come collutorio in caso di infiammazioni della bocca e della gola mentre in Cina, anticamente, era preferita in virtù delle sue proprietà calmanti. 
In cucina le foglie e i fiori ben si prestano a essere impiegati per aromatizzare insalate crude, salse, bevande, una caratteristica che la rendeva cara anche all'imperatore Carlo Magno, il quale emise editti per contenerne lo spreco e tutelarne la specie.

La monaca benedettina e teologa tedesca Santa Ildegarda di Bingen raccomandava la menta acquatica:
"La menta d'acqua è calda ma al contempo leggermente fredda. Se ne può mangiare moderatamente: non apporta all'uomo particolari benefici ma non fa male. Chi dal tanto mangiare e bere ha uno stomaco/intestino appesantito e si sente soffocare, mangi menta d'acqua cruda o cotta con carne, nella minestra oppure nel passato di verdure e la pesantezza cesserà..."
e ancora
“Chi è colpito da un problema polmonare, ha il fiato corto e deve tossire spesso per espettorare al minimo movimento e chi invece mangia e beve troppo al punto da far fatica a respirare e non riuscire ad espellere il flegma, usi la menta d'acqua come sopra descritto.“



Gli antichi Romani usavano grandi quantità di menta per aromatizzare l'acqua del bagno, mentre secondo l'antico testamento quest'erba veniva usata per profumare le mense. Lo stesso poeta romano Ovidio racconta come anche nelle umili case contadine, si strofinasse con foglie di menta il tavolo della cucina prima di servire il pranzo per gli ospiti, un gesto cortese sopravvissuto nelle campagne fino a tempi recenti.

La menta era detta in latino medioevale Herba sanctae Mariae e in francese Menthe de notre Dame. Un legame con la Madonna nato da una leggenda medioevale in cui si raccontava che la Sacra Famiglia in fuga verso l'Egitto incontrò per la via proprio una piantina di menta. La Madonna, annusatone il gradevole profumo, sospirò: "se ci potesse anche dissetare!". In quell'istante dalle piccole foglie della pianta, iniziarono a scendere delle goccioline d'acqua ristoratrice e Maria si rivolse con gratitudine alla menta, dicendo "tu sarai chiamata per sempre l'erba santa". 
Ancora oggi le contadine anziane nelle campagne dell'Abruzzo, memori della sacralità di questa erba, usano sfregare foglioline di mentuccia fra le mani, per richiamare la benevolenza del Signore il giorno della morte, recitando: "Chi scontra la mentuccia e non l'addora, non vede Gesù quando muore".

Profumata e salutare, apprezzata da sempre per le sue mille e mille caratteristiche, la menta merita davvero un posto speciale tra le piantine del nostro balcone, poiché pur apparendo delicata, ha in sé la straordinaria capacità di svilupparsi e fiorire anche in situazioni avverse: Dum cetera languent, si direbbe in latino, per indicare la virtù solitaria che, nonostante tutto intorno si consumi, cresce salda e forte.