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mercoledì 3 ottobre 2018

Il Påtår

Tår è un modo giocoso che gli svedesi utilizzano per descrivere una piccola quantità di caffè. Suona un po' come tear che in inglese significa "lacrima". 
Il Påtår, sta a indicare la seconda tazza di caffè, il Tretår letteralmente "three tear" la terza tazza, poi c'è il "Fyrtår".. e così via, finché ce la fate!»

da www.aer-translations.ch/tretar/

Nei bar delle terre scandinave spesso è previsto il refill (pagate solo il primo giro e poi bevete quanti caffè volete), il che rende estremamente piacevole rilassarsi per lungo tempo nei cafe davanti a una tazza fumante e a una o più fette di torta.

martedì 18 settembre 2018

Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, la prima esploratrice polare

Esiste un golfo lungo la costa settentrionale russa nel territorio di Krasnojarsk che fu scoperto dall'esploratore russo Vasilij Vasil'evič Prončiščev nel 1736 e che rimase a lungo senza nome. Fu solo la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij nel 1913 a battezzare "capo Prončiščeva" il piccolo promontorio all'ingresso della baia. Prončiščev e Prončiščeva, due cognomi russi, il secondo di genere femminile e legato al primo da un vincolo familiare.
Chi era dunque questa donna alla quale è stata intitolata una remota insenatura posta nella parte sud-occidentale del mare di Laptev?
Maria Prončiščeva (1710-23 settembre 1736) conosciuta anche come Tat'jana Prončiščeva, è stata la pioniera russa dell'esplorazione polare femminile.
Poco si sa della sua infanzia e della prima età adulta, ma ci è noto che lei e suo marito Vasilij Prončiščev, tenente della Marina russa imperiale, trascorsero la luna di miele a bordo della nave di Vasilij, lo Yakutsk, navigando attraverso l'insidioso ghiaccio marino e le avverse condizioni meteorologiche, sulla costa del Mar Glaciale Artico tra i fiumi Lena ed Enisey. Questo viaggio era parte di una serie esplorazioni che tra il 1733 e il 1743 costituirono la Grande spedizione del Nord, conosciuta anche come Seconda spedizione in Kamčatka, guidata dall'esploratore e cartografo danese, ufficiale della Marina dell'Impero russo, Vitus Jonassen Bering.
Iniziata sotto lo zar Pietro I di Russia e proseguita da sua figlia la zarina Anna, la Grande spedizione del Nord fu progettata per trovare nuove rotte di navigazione, in modo da collegare la Russia artica con il Nord America e l'Asia: una delle più grandi esplorazioni della storia, grazie alla quale la costa artica fu dettagliatamente mappata, permettendo agli europei di conoscere luoghi precedentemente sconosciuti, quali l'Alaska.
Secondo gli storici i Prončiščev, come molti altri esploratori a bordo dello Yakutsk, morirono di scorbuto, malattia comune tra i navigatori causata dalla prolungata carenza di vitamina C e furono sepolti alla foce del fiume Olenek. Prončiščeva aveva solo 26 anni, ma la sua eredità e la sua memoria sopravvivono tutt'oggi.
Abbiamo già descritto Maria Prončiščeva come una pioniera dell'esplorazione polare femminile, ma la storia di questa donna, che per amore del marito e dell'avventura decise di imbarcarsi in un viaggio pericoloso e pieno di incognite, era ignota all'epoca tanto quanto il suo nome. Tra le 50 persone a bordo del doppio sloop Yakutsk il 29 giugno 1735, infatti c'era anche lei la giovane moglie del capitano, ma il suo nome non compariva nell'elenco dei partecipanti ufficiali alla spedizione, motivo per cui gli storici non sono stati in grado di scoprire nulla su di lei per molto tempo.
Nei documenti della spedizione, infatti, il suo nome è menzionato solo una volta, in una frase scritta sul diario di bordo dall'esploratore russo S.I. Chelyuskin il 12 settembre 1736: 
"Alle quattro dopo mezzanotte la moglie dell'ex comandante della barca Yakutsk, Pronchishcheva, per volontà di Dio morì...".

Busti di Vasilij e Tat'jana, presso il Museo Navale di San Pietroburgo.

Un piccolo mistero però possiamo svelarlo e riguarda il vero nome di Prončiščeva.
Quando nel 1913 la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij chiamò "capo Prončiščeva" il promontorio all'ingresso della baia, in russo mys Prončiščevoj, il dato venne registrato sulle carte con l'abbreviazione "M. Prončiščevoj". Qualche tempo dopo negli anni '20 quella "M" venne interpretata da alcuni cartografi come Maria Prončiščeva, in riferimento alla baia, ovvero buchta Marii Prončiščevoj.

La prima esploratrice polare si chiamava quindi Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, e al pari di altre grandi viaggiatrici la sua memoria è viva ora e lo rimarrà in futuro come un riferimento geografico e umano verso cui fare vela.
Mappa russa rilevata nel 1981 e pubblicata nel 1987, raffigurante la Baia di Maria Prončiščeva

lunedì 3 settembre 2018

Le Parole dell'Avventura: PIONIERE

SIGNIFICATO Esploratore, colono; figuratamente, chi è fra i primi ad introdurre un'innovazione o a compiere una ricerca; soldato del genio
ETIMOLOGIA dal francese: pionnier, da pion pedone.

Inizialmente, nel XI secolo, il pioniere era il semplice fante, il soldato; ma qualche secolo dopo questa parola acquisì il significato specifico di soldato del genio - cioè del soldato che, invece d'essere impiegato in combattimento, compie attività di supporto, ad esempio costruendo infrastrutture, aprendo o rendendo agibili strade, o scavando fossati. Ma questa parola è entrata nell'uso corrente dell'italiano solo di recente; infatti gli venivano preferiti sinonimi più radicati nella tradizione - come guastatore o zappatore. La situazione è cambiata decisamente quando, nel XIX secolo, "pioniere" ha visto nascere il suo significato figurato di precursore, di innovatore, di primo esploratore.

L'immagine da cui questi significati si sono estesi è semplice: per i compiti che ha, il pioniere precede le truppe. Nel caso in cui non esistano vie praticabili, sono i pionieri ad aprirle, costruendo strade e gettando ponti. È quindi immediato usare questa figura per indicare le prime persone che esplorano o colonizzano un'area geografica, o rami del sapere o della tecnologia. Quindi, classicamente, si parlerà dei pionieri del Far West (con in mente Zio Paperone che cerca l'oro nel Klondike), dei pionieri dell'aviazione che attraversano l'Atlantico, dei pionieri dell'informatica e della genetica. Personaggi che variamente precedono la grande truppa umana, aprendo strade e gettando ponti.

lunedì 20 agosto 2018

L'irrinunciabile leggerezza della poesia

Quando la bellezza di un'esperienza passata viene raccontata da scrittore a lettore con parole semplici e coinvolgenti, ecco che la divulgazione scientifica si mescola al ricordo e dà vita a qualcosa che tocca l'animo di ognuno di noi.
In questo breve passo tratto dal suo libro più famoso “L’Anello di Re Salomone”, l'etologo Konrad Lorenz ricordando un episodio della sua infanzia, ci restituisce una delle pagine più vibranti della sua intera produzione letteraria.
“...recatevi con un vasetto e con un acchiappafarfalle allo stagno più vicino, immergete alcune volte la rete, e raccoglierete una miriade di organismi viventi. In quella reticella per me è ancor oggi rinchiuso l’incanto della fanciullezza... Con un simile aggeggio, a nove anni ho catturato le prime dafnie per i miei pesciolini, scoprendo così le piccole meraviglie dello stagno di acqua dolce che immediatamente mi sedusse con il suo fascino. Dopo la reticella venne la lente d’ingrandimento, dopo di questa un modesto microscopio, e con ciò il mio destino fu irrevocabilmente segnato. Chi infatti ha contemplato una volta con i propri occhi la bellezza della natura non è destinato alla morte come pensa Platen, bensì alla natura stessa, di cui ha intravisto le meraviglie. E se ha davvero degli occhi per vedere, costui diverrà inevitabilmente un naturalista.”

venerdì 27 luglio 2018

Le Parole dell'Avventura: CAIRN

La funzione più comune dei cairn è quella di punto di riferimento, specialmente in montagna dove queste costruzioni sono generalmente chiamate ometti; sono costruiti dagli escursionisti per segnalare l’andamento del sentiero in passaggi non segnalati, dove sarebbe possibile uscire dal tracciato.
Gli ometti sono impiegati anche per altri scopi, per fini storici e commemorativi, o semplicemente per ragioni decorative e artistiche.
La pratica di erigere cairn risale alla preistoria. Le opere variavano da piccole sculture di roccia a imponenti colline artificiali di pietre, a volte costruite sulla cima di rilievi naturali.




Nella mitologia dell’antica Grecia, i cairn erano associati a Ermes, il dio dei viaggi via terra. Narra la leggenda che Ermes fu citato in giudizio da Era per avere ucciso il servo preferito di lei, il mostro Argo. Tutte le altre divinità fungevano da giuria: come modo di indicare il verdetto, ricevettero dei sassi, con l’ordine di lanciarli verso il dio che a loro giudizio avesse avut o ragione.
Ermes si difese tanto abilmente che finì sepolto sotto un mucchio di pietre, e così nacque il primo cairn.
Gli ometti esprimono valori mitologici ancestrali, il bisogno esistenziale dell’uomo di segnar e il suo percorso a favore di quanti altri seguiranno la sua strada, con la piena coscienza della caducità delle cose. Come ogni espressione creativa dell’uomo i cairn trasmettono equilibri emotivi, spirituali e gravitazionali, armonie di forme e di pensiero.
Ma forse gli ometti non hanno bisogno di significati più profondi, di trasfigurazioni mitologiche o esoteriche. Forse esistono semplicemente perché è bello che ci siano!


martedì 17 luglio 2018

Io sono tormentato da...

“Io sono tormentato da un’ansia continua per le cose lontane. 
Mi piace navigare su mari proibiti e scendere su coste barbare.”

- Herman Melville


domenica 3 giugno 2018

Il Ginepro: l'arbusto delle coccole

Scriveva Antonio Maria Dalli nel manoscritto di gastronomia “Piciol lume di cucina”:
"Piglierai due once di bache di Ginepro ben lavate in Vino bianco, lasciandovele in infusione due giorni e che il Vino sia nero, mutandoglielo due volte al giorno, e le metterai a bollire in vaseto vitriato aggiongendovi una libra d’acetto di Malvasia, oncie sei di Zucaro, mezz’oncia di Canella intiera, coperto benissimo con Carta, e Coperchio, mettendolo al fuoco, facendone consumare delle trè parte una, e questa sarà ottima per Francolini, Tordi, et altri Ucelli."
Questa elaborata e appetitosa ricetta datata 1701 ci servirebbe, se avessimo sottomano pentole e ingredienti, ad ottenere una salsa di ginepro agrodolce con cui esaltare per esempio il sapore degli arrosti e della cacciagione, o smorzare il gusto pungente di un buon piatto di crauti. In realtà ci offre l’occasione per iniziare con gusto un piccolo viaggio alla scoperta di un arbusto sempreverde, pungente e intricato, le cui foglie aghiformi e appuntite assomigliano a dei veri e propri aculei.

Il ginepro (Juniperus communis) è una pianta utilizzata fin dall'antichità per se sue virtù medicamentose e la sua bontà in cucina. Il suo nome greco, arkeuthos, significa “allontanare”, “respingere un pericolo”, o un nemico; una pianta dai rami così pungenti che, fin dai tempi più remoti, è stata messa a guardia delle abitazioni per impedire ai demoni, alle disgrazie e ai malintenzionati di entrare. Si dice infatti che i rametti di ginepro appesi sulle porte di casa, tenessero lontane le streghe le quali erano irresistibilmente attratte dal contarne le numerose e ispide foglie, ma perdendo spesso il conto, erano poi costrette a ricominciare daccapo, finché il canto del gallo imponeva loro di dileguarsi con la notte.

Il folklore popolare attribuisce alle foglie di ginepro la facoltà di guarire dal morso dei serpenti, al fumo del legno arso di sanare i malati di peste e vaiolo e all’unguento a base di cenere di salvare dalla lebbra; le bacche hanno avuto fama di operare guarigioni miracolose, tanto che nel XVI secolo erano considerate una sorta di panacea universale.


Un mondo ricco di storia e di tradizioni popolari, quello legato al ginepro, pianta versatile, che tollera condizioni ambientali molto diverse proprio perché indifferente al terreno su cui cresce e capace di assumere molte forme a seconda delle caratteristiche climatiche del luogo in cui si sviluppa: dall’alberello tipico delle regioni marine, al basso cespuglio delle alte e ventose quote montane del Monte Rosa, a 3.500 m s.l.m.. 

Viene usato in cucina in molte ricette regionali a base di carne perché essendo ricco di tannini, sostanze astringenti con proprietà digestive, è perfetto per insaporire e rendere più assimilabile la selvaggina.
E se è certo che “cacciarsi in un ginepraio” significa capitare in una situazione intricata da cui si uscirà con gran fatica, è anche vero che ogni buongustaio sa quanto sia piacevole concedersi un Gin Tonic, elegante cocktail a base di gin, liquore estratto proprio dalle bacche, o meglio dai galbuli, del ginepro, gradevole da assaporare tanto prima quanto dopo cena. Tutto merito delle proprietà aperitive (dal latino aperire = aprire) del principio amaro chiamato juniperina contenuto proprio nelle bacche, che prepara l'apparato digerente sia a ricevere il cibo, sia a digerirlo. Proprio per questo in Alto-Adige è tradizione concludere il pasto con un bicchierino di Kranewitter, digestivo ottenuto dalla macerazione in alcool delle bacche di ginepro, raccolte fresche e rigorosamente a mano. 

Un'ultima curiosità: ginepro deriva dal termine celtico ”juneprus” che significa "acre" e indica il sapore aspro delle bacche, anche dette coccole, di cui i tordi sono golosissimi. E' proprio il caso di dire, quindi, che anche ai tordi piacciono le coccole.

venerdì 11 maggio 2018

L'isola di Robinson Crusoe

Realtà o finzione? Quest'isola cilena dell'arcipelago Juan Fernandez nell'Oceano Pacifico, situata a circa 670 chilometri dalla costa di Valparaíso, può legittimamente sollevare la questione. Eppure, sebbene il suo nome ricordi un romanzo, esiste ed è un luogo perfetto per gli amanti dell'avventura, un territorio vergine che per la sua straordinaria biodiversità è stato dichiarato Riserva mondiale della biosfera dall'UNESCO.


Dal 1 gennaio 1966 questa isola, conosciuta come Isla Más a Tierra, l'isola più vicina alla costa continentale del Cile, si chiama ufficialmente Isla Robinson Crusoe, in omaggio al marinaio scozzese Alexander Selkirk, che qui visse in solitudine per 52 mesi dopo esservi naufragato nel 1704 e il cui diario ispirò lo scrittore britannico Daniel Defoe per il suo famoso romanzo "Robinson Crusoe".

Un sottile lembo di terra di pochi chilometri quadrati, un luogo ideale per disconnettersi dal mondo e godersi la natura in solitudine. Le acque cristalline della Isla Robinson Crusoe ospitano una biodiversità sottomarina che attira subacquei da tutto il mondo e in uno scenario come questo non è infrequente imbattersi nell'avvistamento dell'otaria orsina sudamericana (Arctophoca australis), endemica dell'arcipelago Juan Fernández.
Gli isolani si dedicano alle attività economiche locali, che ruotano attorno al mare: la maggior parte di essi vivono infatti di pesca all'aragosta e di escursioni che consentono ai visitatori di pescare il proprio cibo per poi prepararlo nelle cucine allestite a bordo delle barche, chiamate chalupas.
Molte le ricette tradizionali, tra cui la media langosta al plato, el perol una deliziosa zuppa a base di aragosta, le empanadas di granchio dorato, il ceviche con la vidriola o il breca, entrambe gustose pietanze a base di pesce tipico dell'arcipelago.

giovedì 5 aprile 2018

Di confini non ne ho mai visto uno


Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che esistono nella mente di alcune persone.
- Thor Heyerdahl, antropologo, esploratore e scrittore norvegese

domenica 4 marzo 2018

L'esplorazione secondo Alex

"Avevo circa sei, forse sette anni. All’epoca vivevo ad Aprica, provincia di Sondrio e mi ero fatto disegnare da mio padre, su un tovagliolo di carta, i sentieri dietro la mia casa. Munito di borraccia a tracolla e bussola mi avventurai in quel dedalo di sentieri. Non andai lontano perché dopo un paio di ore ero già tornato, ma quel piccolo viaggio di scoperta fu importantissimo e ancora oggi mi nutro dell’emozione di quel momento. Ebbi la sensazione di riconnettermi alla natura."
 - Alex Bellini

venerdì 2 febbraio 2018

Nella sua grandezza...


Nella sua grandezza il genio disdegna le strade battute e cerca regioni ancora inesplorate.

- Abraham Lincoln



domenica 14 gennaio 2018

Lo Skrei: il merluzzo delle isole Lofoten

Il merluzzo delle Lofoten è conosciuto in tutto il mondo con il nome di Skrei.

Lo Skrei viene pescato nelle aree di deposizione delle uova, attorno alle Isole Lofoten e al Vesterålen, in un periodo dell’anno che va da gennaio ad aprile. Base dell’economia per migliaia di persone e comunità lungo la costa, la sua commercializzazione ebbe inizio a Storvågan, un tempo noto come Vagar, che fu la prima e unica città nel Nord lungo il Medio Evo.
Le enormi quantità pescate, vengono consumate fresche o appese ad essiccare per diventare stoccafissi.
I locali ritengono che lo Skrei fresco sia una vera prelibatezza e a riprova della sua bontà, negli ultimi anni enormi quantità di Skrei sono state esportate verso i mercati europei e statunitensi. I norvegesi inoltre cuociono il filetto, le uova e il fegato dello Skrei creando il Mølje, un piatto tipico in cui le parti del pesce vengono bollite separatamente e servite con patate lesse.
I pescatori con cui ho avuto modo di parlare mi hanno spiegato che i pesci appesi ad asciugare vengono tirati giù dagli essiccatoi in maggio/giugno e preparati per essere esportati verso molti Paesi europei. L’Italia pare essere attualmente il più grande esportatore di stoccafissi e non a torto, perché questo pesce già di per sé ottimo, viene dissalato in un bagno di acqua e usato in molti gustosissimi piatti, il più famoso dei quali è il baccalà.
Lo stoccafisso è un prodotto norvegese largamente esportato sin dal 1100 e rappresenta più del 80% di tutte le esportazioni della Norvegia da centinaia di anni, un’enorme fonte di guadagno che ha accompagnato e sostenuto la nascita della nazione norvegese.