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domenica 30 gennaio 2022

Frederick William Beechey, l'artista degli icebergs

Frederick William Beechey (1796-1856), ufficiale di marina, artista e poi presidente della Royal Geographical Society, accompagnò l'esploratore inglese William Edward Parry (1790-1855) nel suo famoso viaggio alla ricerca del Passaggio a nord-ovest, contribuendo al diario della spedizione con i suoi schizzi e le sue raffigurazioni del paesaggio artico.



L'illustrazione qui sopra ritrae la "HMS Hecla in Baffin Bay" ed è tratta dal "Journal of a Voyage for the Discovery of a Northwest Passage from the Atlantic to the Pacific Performed in the Years, 1819-20 in His Majesty’s Ships Hecla and Griper". Beechey raffigura la nave di Parry al cospetto di un iceberg torreggiante, rinchiusa e quasi schiacciata da questa formazione di ghiaccio che, sappiamo dai diari di viaggio, diede del filo da torcere all'equipaggio.
Parry fu il primo europeo a superare i 110 gradi di latitudine, divenendo il primo eroe-esploratore del diciannovesimo secolo. Le sue imprese ispirarono una delle opere d'arte più belle e maestose ispirate ai paesaggi polari, "Il mare di ghiaccio" di Caspar David Friedrich (1823-24). Introdotto nell'immaginario popolare dai racconti degli esploratori, l'Artico suscitò immediatamente un grande interesse, diventando parte del più ampio appetito romantico dell'epoca per i luoghi esotici e l'avventura.

sabato 8 maggio 2021

Il primo sbarco in Antartide

Spesso pensiamo agli esploratori, meglio ancora agli esploratori del passato, come a delle figure mitiche, uomini (perlopiù) dalla tempra d’acciaio che, lasciata la sicurezza delle proprie vite, si gettavano all’inseguimento di un ignoto tutto da decifrare; e magari pensiamo pure che i Paesi d’origine di questi esploratori tributassero loro grandi onori, una volta tornati in patria, come si fa con chi ha messo a repentaglio la propria vita per il progresso della civiltà.
Purtroppo non sempre è andata così: è il caso di Edward Bransfield, esploratore irlandese.

A lungo dimenticato dalla Storia, quella con la “S” maiuscola, Bransfield scoprì nientemeno che l'Antartide, ma per sua sfortuna lo fece in un periodo storico in cui l’Ammiragliato britannico era più interessato alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest che a scoprire nuove terre nel sud del sud del mondo e questo perché nel 1774 l’esploratore inglese James Cook, oltrepassato il circolo polare antartico e toccata la latitudine di 71° 10', venne respinto dai ghiacci. L’Antartide, insomma, era un luogo ostile, d’un bianco accecante, inospitale ed estremo, in altre parole di scarso valore.

Nel 1819 però la musica cambiò.
William Smith, skipper del mercantile inglese “Williams”, nel doppiare Capo Horn venne spinto a sud da venti violenti e scoprì per puro caso quelle che, in seguito, saranno chiamate Isole Shetland meridionali.
Bransfield aveva 34 anni e da quattro era stato nominato comandante della fregata “HMS Andromache” al servizio del capitano William H. Shirreff, presso la nuova stazione della Royal Navy situata a Valparaiso, in Cile. Quando la notizia della scoperta di Smith raggiunse il capitano Shirreff, questi spedì Bransfield sul mercantile “Williams” con il compito assumerne il comando ed esplorare le coste e le isole di quel territorio impervio e sconosciuto.
Da qui in poi fu tutto un navigare, mappare e dare nuovi nomi a terre fino ad allora sconosciute.
Smith e Bransfield raggiunsero l’isola di Re Giorgio (ribattezzata in onore di Giorgio III, morto il giorno prima) e ne presero possesso formale per la Corona; proseguirono poi in direzione sud-ovest, verso l’isola Deception e poi ancora a sud, lambendo Tower Island, Ohlin Island e ancora più avanti attraversando quello che oggi è conosciuto come lo stretto di Bransfield.

Il 30 gennaio 1820 il mercantile “William” fece rotta verso la penisola Trinity, il punto più settentrionale del continente antartico, ed Edward Bransfield scese a terra: come scrisse l’inglese Roland Huntford, grande biografo di esploratori polari, “Questa fu la scoperta dell'Antartide”.
Bransfield quindi ha un posto importante nella Storia, quella con la “S” maiuscola, e negli ultimi anni il Regno Unito ha riscoperto e onorato il suo nome con l’emissione di un francobollo che ne commemora le imprese e il restauro della tomba a Brighton, di cui Sheila Bransfield, pronipote di Edward, ha strenuamente sostenuto il restauro.

C’è però un colpo di scena che dobbiamo aggiungere. All'insaputa di Bransfield infatti, due giorni prima del suo sbarco sembra che l'esploratore russo Fabian Gottlieb von Bellingshausen avesse avvistato la costa ghiacciata che oggi fa parte dell'Antartide orientale, ipotesi che alcuni, tra cui lo storico polare A. G. E. Jones, affermano con certezza. Avvistato però non significa esplorato e al di là delle controversie e dei bisticci tra gli storici, è certo che Edward Bransfield, esploratore irlandese, sia stato il primo uomo ad aver calcato il lunare biancore del suolo dell’Antartide.



sabato 27 giugno 2020

I tredici coraggiosi della "2° spedizione tedesca"

Non c'è romanzo, non c'è dramma, che sia commovente come questo volume. Un bastimento naufraga nel mar polare. I tredici passeggeri si trovano alla mercé di un pezzo di ghiaccio. Sopra questo ghiaccio si fabbricano una capanna di carbon fossile. Questo ghiaccio è un masso enorme, ma è semovente, li conduce dove vuole. Esso scricchiola ad ogni tratto; i poveri viaggiatori si sentono mancar la terra, ossia il ghiaccio, sotto i piedi. Il ghiaccio si va sempre più impicciolendo. Sopra il ghiaccio stettero ben sei mesi e venti giorni; il ghiaccio stesso li condusse per più di duecento miglia restando a una distanza di 5 a 10 miglia dalla costa, che di tratto in tratto gl'infelici vedevano da lunge senz'aver mezzo di toccarvi. Spesso ciò che credevano la costa non era che montagne di ghiaccio. La situazione era aggravata da tempeste terribili, da riverberi accecanti, da sgeli lontani e assordanti. Come vivessero fra queste lunghe torture, come s'industriassero a non perire di freddo e di fame, a passare il tempo, a non perdere la ragione (uno sì la perdette!), come riuscissero infine a liberarsi dall'isolotto incantato e toccar terra, ve lo dirà il racconto, che segue giorno per giorno le peripezie della Hansa. La catastrofe della Hansa è uno dei più drammatici episodii della storia dei naufragi. Il fatto avvenne nel 1869-70, e segnalò quella che nella storia eroica delle spedizioni polari si chiama la 2. spedizione tedesca.

Si apre così, con queste frasi vibranti, lo straordinario resoconto dell'esploratore artico Karl Koldewey sul naufragio della goletta Hansa, che il 15 giugno 1869 salpò dal porto di Bremerhaven sulla costa del Mare del Nord, diretta verso la Groenlandia nel Mar Glaciale Artico.
In qualità di comandante della Germania, nave a vapore ad elica a cui la goletta fungeva da supporto, Koldewey riuscì a portare a termine la mappatura della costa tra il 73º ed il 77º parallelo nord e a scoprire e studiare il fiordo di Franz Josef, un fiordo groenlandese lungo 200 km. e al suo ritorno in patria scrisse la storia della Hansa, naufragata il 19 ottobre 1869, il cui equipaggio si salvò su un banco di ghiaccio.

Quella che segue è la descrizione minuziosa dell'equipaggiamento di questi coraggiosi esploratori artici impegnati in una missione al limiti del mondo. 
"Una parte essenziale e difficile dei preparativi era l'approvvigionamento in viveri ed in materiale. Si portò poca carne salata, ma molte conserve di carne in scatole. Si prese altresì una buona provvista di pemmican*, indispensabile per le escursioni in slitta, ed una quantità considerevole di scatole di conserve d'ogni specie. Non era meno indispensabile portare eccellenti liquidi. Oltre i numerosi doni ricevuti in vini e specialmente in vini rossi francesi, si portò una gran quantità di spiritosi e di liquori.
Le provviste di vesti furono parimente oggetto di speciali cure. La Germania conteneva in questo genere un'intera collezione di ciò che esiste di meglio in stoffe d'inverno ed in pelliccie. Nulla era stato negletto nella fattura di queste vesti; così tutte le cuciture erano fatte con lana di pelo di capra d 'Angora, poiché la seta ed il lino, sotto l'influenza della temperatura, perdono alquanto della loro tenacia. Parimente pei bottoni; erano stati fatti di noci d'avorio, i bottoni di seta o di corno essendo stati giudicati troppo poco solidi. Non era entrato un sol filo di cotone negli abiti: tasche, maniche, tutto era foderato di lana. I panciotti erano di tessuto a maglia, interamente foderati di flanella d 'eccellente qualità. Le berrette e i guanti erano di pelle di cane. Le berrette avevano la forma di cappucci per signore; riparavano completamente la testa, il collo e le spalle, ed erano orlati intorno alla faccia con una folta striscia di pelliccia. I guanti erano di quindici a sedici pollici di lunghezza per sette ad otto pollici di larghezza, in maniera da rinchiudere comodamente la mano già rivestita di guanto di lana. Per le pelliccie, si presero buone pelli di pecora gregge o pelli di bufalo. Queste ultime, essendo più leggiere, convenivano meglio per le escursioni. Furono unte, per preservare non solo dal freddo, ma anco dall'umidità. Con queste medesime pelli si erano fabbricati grandi sacchi per dormire negli accampamenti all'aperto."

Letture tratte dal volume "Il naufragio della Hansa spedizione tedesca al Polo Artico (1869-70) dei capitani Koldewey e Hegemann" di Karl Koldewey. Fratelli Treves Editori, Milano 1874.





*Pemmican: cibo altamente nutriente tipico dell’alimentazione dei nativi americani, costituito da una miscela concentrata di grassi e proteine. Viene preparato ancora oggi ed è stato ampiamente adottato dai commercianti di pellicce canadesi e poi europei e dagli esploratori polari.

sabato 15 febbraio 2020

Le Parole dell'Avventura: SLOOP

Duecentodue anni fa, in una nuvolosa giornata del luglio 1818, uno sloop discese lungo lo scalo del cantiere navale di Okhten, a San Pietroburgo. Nessuno dei presenti al varo poteva immaginare di trovarsi al cospetto della nave con cui sarebbe iniziata l'esplorazione del sesto continente: l'Antartide.
"Abbiamo vagato nell'oscurità delle nebbie, tra innumerevoli enormi ghiacci galleggianti, nel timore incessante di esserne schiacciati. Freddo, neve, frequenti e forti tempeste ci accompagnavano costantemente in questi luoghi."
Con queste parole Ivan Mikhailovich Simonov, astronomo e geodesista russo, descriveva l'incertezza della navigazione sugli sloop Mirny e Vostok e l'umano timore di fronte agli inesplorati e immensi territori antartici durante la prima spedizione russa nei mari polari, guidata da Fabian Gottlieb von Bellingshausen tra il 1819 e il 1821.

Lo sloop è un tipo di veliero usato nel XVII e XVIII secolo dalla marina inglese e americana, a cui la storia dell'esplorazione artica deve alcune delle sue più grandi scoperte. Un agile scafo in legno, un solo albero su cui viene armata una grande vela aurica (vela di forma trapezoidale), un albero molto allungato montato a prua (il bompresso) dal quale si issano tre o quattro vele triangolari (i fiocchi) che permettono allo sloop di risalire il vento e stabilizzare la rotta con facilità.
Impiegato storicamente per cabotaggio, cioè la navigazione sotto costa delle navi di piccole e medie dimensioni, fu il tipo di imbarcazione acquistata nel 1900 dall'esploratore norvegese Roald Amundsen per la sua spedizione nel Mar Glaciale Artico, poiché data la sua scarsa profondità sarebbe stata perfetta per attraversare i bassi fondali degli stretti polari. La Gjøa era infatti più piccolo dei vascelli utilizzati da altre spedizioni artiche, ma poteva trasportare uno smilzo equipaggio evitando così i catastrofici fallimenti delle precedenti spedizioni, a cui avevano preso parte navi di maggiori dimensioni. Lo sloop Gjøa raggiunse per primo il Passaggio a nord-ovest durante un viaggio di tre anni.
Era un esperto comandante di sloop anche Theodore Jacobsen, che nel 1893 firmò per salpare in veste di ufficiale nella spedizione Fram, viaggio esplorativo guidato dall'esploratore norvegese Fridtjof Nansen che mirava a raggiungere il Polo nord.
Sullo sloop Yakutsk trascorsero la luna di miele la pioniera russa dell'esplorazione polare femminile Tat'jana Fedorovna Prončiščeva e suo marito Vasilij Prončiščev, tenente della Marina russa imperiale, navigando attraverso l'insidioso ghiaccio marino e le avverse condizioni meteorologiche, sulla costa del Mar Glaciale Artico tra i fiumi Lena ed Enisey. 
(Della sua vita avventurosa abbiamo già parlato nel post dal titolo "Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, la prima esploratrice polare")


Immagine tratta da: arctickingdom.com

Un'ultima curiosità. Nell'area mediterranea lo sloop finì per essere soppiantato, nel secondo dopoguerra dall'armo Marconi o bermudiano, cioè quello che prevede come vela principale la randa triangolare d'uso comune. Il nome deriva dal fatto che nell'insieme la forma data dall'albero, dalle due crocette, dalle sartie, ricordavano al netto delle vele, le attrezzature radio di Guglielmo Marconi.

martedì 28 gennaio 2020

Jade Hameister: coraggiosa non perfetta


Sorriso limpido, sguardo verde giada, una fitta costellazione di lentiggini su un musetto vispo dall'espressione complice di chi sembra averne combinata una grossa. Jade Hameister non ne ha combinata solo una, ma tre e tre belle grosse.
Questa studentessa australiana di Melbourne, classe 2001, è entrata nella storia dell’esplorazione per aver percorso da sola oltre 1.300 km in quasi quattro mesi tra i ghiacci estremi, realizzando la cosiddetta “polar hat-trick”, la tripletta polare. Per raggiungere questo primato, che le è valso il titolo di “Young Adventurer of the Year” dell'Australian Geographic Society e la medaglia dell'Ordine dell'Australia per il servizio di esplorazione polare, ha sciato al Polo Nord, al Polo Sud e attraversato la seconda calotta polare più grande del pianeta, la Groenlandia.

Tre missioni che hanno dell’incredibile, per le quali Jade si è allenata duramente, fedele al proprio motto "Il coraggio espande le possibilità, la paura le restringe" che in forma di hashtag diventa #expandpossible. Una meravigliosa avventura umana e sportiva nata per caso nel 2013 quando, all'età di dodici anni Jade, raggiunto con il padre Paul il campo base dell'Everest, ha incontrato due alpiniste (una aveva attraversato il Polo Sud da sola sugli sci, l'altra era stata la prima donna a scalare l'Everest senza ossigeno) che l'hanno ispirata a tal punto da cambiarne le priorità e da indurla a realizzare un progetto apparentemente folle da lei stessa battezzato Jade's Polar Quest.

Nell'agosto del 2016 Jade viene invitata a raccontare la sua impresa al TEDx di Melbourne, allo scopo di ispirare le giovani donne a ignorare le pressioni sociali e a pensare in modo avventuroso. "E se le giovani donne di tutto il mondo fossero incoraggiate a essere più, anziché meno?", ha affermato nel discorso "E se l'attenzione si spostasse da come appariamo, a ciò che possiamo fare?". Alcuni uomini, a quel punto, hanno commentato il video con un “make me a sandwich” ovvero “vai a farmi un panino“, un tormentone usato dai troll di internet per deridere e screditare le donne, insinuando che dovrebbero rimanere in cucina, occupando quindi un ruolo subalterno a quello degli uomini.
Stessa sorte toccata a molte altre donne famose, tra cui Hillary Clinton alla quale, durante la corsa alla Casa Bianca del 2008, era stato dedicato un gruppo Facebook intitolato "Hillary Clinton: Stop Running for President e Make Me a Sandwich."
Ciò che questi leoni della tastiera avrebbero dovuto intuire, è che non conviene prendersi gioco una quattordicenne in grado di attraversare il Polo tornando a casa viva, sorridente e pronta a ripartire. Questa giovane donna, quel sandwich, lo ha preparato per davvero e ne ha dato notizia con classe e umorismo proprio attraverso il proprio profilo Facebook:


….Questa notte (non diventa mai buio in questo periodo dell’anno) ho sciato ancora fino al Polo… per scattare questa foto per tutti quegli uomini che hanno commentato con “Fammi un panino” il mio discorso al TEDx. Vi ho fatto un panino (prosciutto & formaggio), ora sciate per 37 giorni e 600km verso il Polo Sud e potrete mangiarlo

Una straordinaria giovane donna che con irresistibile understatement ironizza sui propri meriti e quasi a voler ridimensionare il valore dimostrato nelle sue esplorazioni al limite del possibile, adotta l'hashtag #bravenotperfect: coraggiosa, non perfetta. Un invito per le giovani donne in ogni parte del mondo, ad espandere le loro possibilità, essere attive e credere nei propri sogni.

La tripletta polare di Jade

Tre missioni che hanno dell’incredibile, con cui Jade Hameister è entrata nella storia dell’esplorazione per aver percorso da sola oltre 1.300 km in quasi quattro mesi tra i ghiacci estremi, realizzando la “polar hat-trick”, la tripletta polare.
"Il coraggio espande le possibilità, la paura le restringe", un motto che in forma di hashtag diventa #expandpossible e un progetto apparentemente folle da lei stessa battezzato Jade's Polar Quest.

Il 4 aprile 2016, Jade è diventata la persona più giovane della storia ad aver sciato al Polo Nord, partendo da un qualsiasi punto al di fuori dell’ultimo grado. Ha percorso con gli sci ai piedi ben 150 km ad una temperatura di -30°, trascinando il suo equipaggiamento stipato in una slitta pesante quanto lei: otto/dieci ore di marcia al giorno per 11 giorni, il viaggio più lungo compiuto da una donna al Polo Nord da due anni a quella data. 
Ogni giorno Jade ha dovuto superare creste di pressione, cioè lastre di ghiaccio verticali che si formano in seguito alla frattura del ghiaccio marino, e affrontare le insidie dei leads, i canali di mare che si aprono come crepe lungo la calotta polare. Senza contare che la rotta progettata è stata la più lunga e complicata da portare a termine, ma anche l'unica possibile, poiché la via che partiva dal Canada non era più praticabile.
Il riscaldamento globale ha grandemente influito sulla deriva del ghiaccio marino nell'Oceano Artico, un territorio estremo dove tutto si muove a seconda delle correnti oceaniche e del vento. Per questa ragione ogni mattina al risveglio, la spedizione scopriva di essersi allontanata dalla rotta su una forte corrente dell'oceano orientale, per colpa di quella che viene definita la "deriva negativa".
Un'impresa che comprendeva anche altri rischi come cadere nelle gelide acque artiche per via del ghiaccio sottile e incontrare orsi polari, di cui Jade per fortuna ha trovato solo tracce nel ghiaccio.

Nel maggio 2017, Jade ha portato a termine un’eccezionale avventura, compiuta per la prima volta dal celebre esploratore norvegese Fritjof Nansen, nel 1888.
In soli 27 giorni questa tenace ragazza ha attraversato la calotta glaciale della Groenlandia, percorrendo 550 km su sci e ramponi e trainando una slitta di oltre 80 kg. E' diventata la più giovane donna della storia ad aver realizzato un’impresa simile senza supporti esterni, iniziando il viaggio a Kangerlussuaq, sulla costa occidentale della Groenlandia, per concluderlo sulla costa orientale presso Isortoq Hut il 4 giugno 2017.
Una media di nove ore al giorno di marcia, coprendo quotidianamente circa 25 km a una temperatura di -25 gradi.
Se tutto ciò non bastasse, aggiungiamo che Jade ha affrontato, in questa remota area del pianeta, delle condizioni meteorologiche estreme; ha conosciuto il Piteraq, parola Inuit che significa "agguato", un potente vento catabatico, una massa d’aria glaciale e impetuosa che spira seguendo l’inclinazione orografica delle colline o delle montagne artiche e che può raggiungere una velocità di oltre 200 km/h. Il Piteraq si forma quando l'aria ad alta densità viene trascinata giù da un pendio, o da una quota elevata sotto la spinta della gravità.
Jade ha lamentato un lieve pizzicore sulla guancia sinistra dopo alcuni giorni di gelo e di vento freddo.
Niente più.

Il 2018 è per Jade l’anno dei record: dopo un epico viaggio di 37 giorni attraverso una nuova rotta passante per il Kansas Glacier, dalla Costa di Amundsen in Antartide, a soli 16 anni è diventata la persona più giovane a sciare dalla costa dell'Antartide al Polo Sud senza supporto né assistenza, la prima donna australiana nella storia a sciare dalla costa al Polo senza supporto né assistenza, la prima donna nella storia a stabilire una nuova rotta per il Polo Sud senza supporto né assistenza, la più giovane a sciare su entrambi i Poli e a completare il “Polar Hat Trick”, la tripletta polare.
Un viaggio in cui ha coperto la bellezza di quasi 600 km senza rifornimenti aerei, trainando una slitta del peso di circa 100 kg; prima di Jade solo l’esploratore norvegese Roald Amundsen era riuscito a stabilire una nuova rotta per il Polo Sud nel 1911, seguito dal suo competitore britannico Robert Falcon Scott nel 1912.
Condizioni meteorologiche difficili, venti estremi e temperature brutali non hanno interrotto il percorso con cui Jade è riuscita a tracciare una nuova via attraverso l’inesplorato Kansas Glacier nei monti Transantartici, uno dei ghiacciai più meridionali del mondo. E’ stata a tutti gli effetti un’impresa esplorativa di altissimo livello, che ha permesso a lei e al suo team un’approfondita ricognizione del territorio che la US Geological Society ha poi reso ufficiale.

martedì 18 settembre 2018

Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, la prima esploratrice polare

Esiste un golfo lungo la costa settentrionale russa nel territorio di Krasnojarsk che fu scoperto dall'esploratore russo Vasilij Vasil'evič Prončiščev nel 1736 e che rimase a lungo senza nome. Fu solo la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij nel 1913 a battezzare "capo Prončiščeva" il piccolo promontorio all'ingresso della baia. Prončiščev e Prončiščeva, due cognomi russi, il secondo di genere femminile e legato al primo da un vincolo familiare.
Chi era dunque questa donna alla quale è stata intitolata una remota insenatura posta nella parte sud-occidentale del mare di Laptev?
Maria Prončiščeva (1710-23 settembre 1736) conosciuta anche come Tat'jana Prončiščeva, è stata la pioniera russa dell'esplorazione polare femminile.
Poco si sa della sua infanzia e della prima età adulta, ma ci è noto che lei e suo marito Vasilij Prončiščev, tenente della Marina russa imperiale, trascorsero la luna di miele a bordo della nave di Vasilij, lo Yakutsk, navigando attraverso l'insidioso ghiaccio marino e le avverse condizioni meteorologiche, sulla costa del Mar Glaciale Artico tra i fiumi Lena ed Enisey. Questo viaggio era parte di una serie esplorazioni che tra il 1733 e il 1743 costituirono la Grande spedizione del Nord, conosciuta anche come Seconda spedizione in Kamčatka, guidata dall'esploratore e cartografo danese, ufficiale della Marina dell'Impero russo, Vitus Jonassen Bering.
Iniziata sotto lo zar Pietro I di Russia e proseguita da sua figlia la zarina Anna, la Grande spedizione del Nord fu progettata per trovare nuove rotte di navigazione, in modo da collegare la Russia artica con il Nord America e l'Asia: una delle più grandi esplorazioni della storia, grazie alla quale la costa artica fu dettagliatamente mappata, permettendo agli europei di conoscere luoghi precedentemente sconosciuti, quali l'Alaska.
Secondo gli storici i Prončiščev, come molti altri esploratori a bordo dello Yakutsk, morirono di scorbuto, malattia comune tra i navigatori causata dalla prolungata carenza di vitamina C e furono sepolti alla foce del fiume Olenek. Prončiščeva aveva solo 26 anni, ma la sua eredità e la sua memoria sopravvivono tutt'oggi.
Abbiamo già descritto Maria Prončiščeva come una pioniera dell'esplorazione polare femminile, ma la storia di questa donna, che per amore del marito e dell'avventura decise di imbarcarsi in un viaggio pericoloso e pieno di incognite, era ignota all'epoca tanto quanto il suo nome. Tra le 50 persone a bordo del doppio sloop Yakutsk il 29 giugno 1735, infatti c'era anche lei la giovane moglie del capitano, ma il suo nome non compariva nell'elenco dei partecipanti ufficiali alla spedizione, motivo per cui gli storici non sono stati in grado di scoprire nulla su di lei per molto tempo.
Nei documenti della spedizione, infatti, il suo nome è menzionato solo una volta, in una frase scritta sul diario di bordo dall'esploratore russo S.I. Chelyuskin il 12 settembre 1736: 
"Alle quattro dopo mezzanotte la moglie dell'ex comandante della barca Yakutsk, Pronchishcheva, per volontà di Dio morì...".

Busti di Vasilij e Tat'jana, presso il Museo Navale di San Pietroburgo.

Un piccolo mistero però possiamo svelarlo e riguarda il vero nome di Prončiščeva.
Quando nel 1913 la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij chiamò "capo Prončiščeva" il promontorio all'ingresso della baia, in russo mys Prončiščevoj, il dato venne registrato sulle carte con l'abbreviazione "M. Prončiščevoj". Qualche tempo dopo negli anni '20 quella "M" venne interpretata da alcuni cartografi come Maria Prončiščeva, in riferimento alla baia, ovvero buchta Marii Prončiščevoj.

La prima esploratrice polare si chiamava quindi Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, e al pari di altre grandi viaggiatrici la sua memoria è viva ora e lo rimarrà in futuro come un riferimento geografico e umano verso cui fare vela.
Mappa russa rilevata nel 1981 e pubblicata nel 1987, raffigurante la Baia di Maria Prončiščeva