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venerdì 27 dicembre 2019

La vita della Norvegia è tutta sul mare - II° parte

Articolo di Felice Bellotti tratto da La Stampa del 16 febbraio 1940

Una tonnellata e mezza per abitante
Abbiamo raccontata tutta questa storia per dimostrare quale importanza sulla vita nazionale norvegese abbia la marina mercantile che, all'inizio della guerra, occupava il quinto posto fra quelle di tutto il mondo, preceduta da quelle dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, del Giappone e della Germania e seguita da quella dell’Italia. La flotta norvegese è infatti composta (1° gennaio 1940) da 4391 navi stazzanti complessivamente 4.845.655 tonnellate. Poiché la popolazione totale della Norvegia è inferiore ai tre milioni di abitanti, si viene ad avere a disposizione per ogni cittadino oltre una tonnellata e mezzo di naviglio. Anche l’Inghilterra è battuta da lontano.
Il livello raggiunto dalla flotta norvegese al 1° gennaio 1940 è il più alto finora registrato. Dalle statistiche risulta che nel 1915 il tonnellaggio complessivo era di 2.594.199 tonn.; nel 1937 supera di poco i 4 milioni; oggi sfiora i 5, il che dimostra che in tre anni la flotta norvegese è aumentata di circa 700mila tonnellate. Cifra ragguardevole sotto tutti i rapporti, che dimostra, inoltre, come una grande percentuale del naviglio che batte bandiera norvegese sia moderno.
Circa 1 milione e duecentomila tonnellate sono rappresentate da navi petroliere, molte delle quali, le più moderne, costruite in Italia.

La flotta norvegese è certamente la più strana del mondo. Esistono centinaia di navi che solcano i mari del Pacifico o dell’Oceano Indiano, le quali non hanno mai visto un porto norvegese. Sono state impostate, varate, allestite, hanno preso il mare battendo la bandiera di Re Haakon e sono invecchiate tanto da finire nei bacini di disarmo senza aver mai avvistati i pittoreschi fiordi della loro Patria. Ma l’equipaggio è sempre formato da norvegesi, gente che se ne va per interi lustri e torna per trovare magari sposata la figlia che «prima» andava a scuola.

«La nostra vita è sul mare!» dicono i norvegesi ed affermano la grande verità della loro esistenza. «Navigare necesse!» ci diceva il signor Bryn, il giorno che ci volle ricevere per raccontarci vita e miracoli della «sua» flotta.

Per questo la vita nazionale della Norvegia attraversa momenti tanto difficili. La minaccia sovietica, la guerra in Europa, il futuro destino del Paese, tutte queste cose sono nelle mani di Dio e nessuno può oggi prevedere ciò che sarà. Ma il mare non è più libero, la flotta trova inciampi per funzionare, le derrate non giungono più, il carbone scarseggia, i prezzi aumentano, la disoccupazione diventa insopportabile per l’erario che è costretto a tassare come non mai i proprii cittadini.
«Noi non abbiamo colonie, non abbiamo mai mirato a prendere territori altrui, ci siamo creati col coraggio dei nostri marinai e col nostro lavoro una «colonia flottante». Perché ce la devono portar via, impedendole di navigare?». Questo ci diceva un signore, di nostra conoscenza. E nelle sue parole compendiava la più grave questione — quelle politiche a parte – che sia sorta in Norvegia dall'inizio della guerra, questione che noi studieremo accuratamente nel corso della nostra inchiesta attraverso la Norvegia.


lunedì 23 dicembre 2019

La vita della Norvegia è tutta sul mare - I° parte

Articolo di Felice Bellotti tratto da La Stampa del 16 febbraio 1940

Oslo, febbraio.
Io credo che non ci sia ragazzo al mondo il quale non abbia avuto per compagno d’avventure, nel mondo senza confini della fantasia, un marinaio norvegese. Norvegia e mare costituiscono, anche per chi non conosca questo stranissimo Paese, quasi un corpo unico, e davvero sarebbe difficile impresa separare quassù la terra dalle acque, perché il mare penetra profondamente nel cuore del Paese coi pittoreschi fiordi, lunghi alle volte centinaia di chilometri, creando una intricatissima rete di canali – che chiamiamo cosi per renderne l’idea anche se non sono affatto canali perché sono bracci di mare.


Alle origini
Questa configurazione geografica della Norvegia ha logicamente portato i primi uomini che giunsero su queste inospitali rocce a cercare nel mare i loro mezzi di sostentamento. Le poche traccie di archeologia esistenti consistono in primitivi disegni scalfiti nella roccia e rappresentanti scene di pesca. Per centinaia di anni, forse per migliaia, i biondi figli del nord che nessuno saprà mai da che parte siano giunti quassù, si sono accontentati della misera vita del pescatore, costruendo le loro capanne con pietre cementate dalle grasse e robuste alghe che rappresentano la sola vegetazione delle zone più settentrionali. Poi gli infiniti orizzonti del mare fascinarono questi uomini che di generazione in generazione avevano finito per prendere confidenza ed amore colle onde. Siamo all'epoca dei leggendari Vichinghi, i formidabili navigatori che si spinsero in tutte le terre conosciute e sconosciute del mondo medioevale, raggiungendo le coste gelide della Groenlandia e il caldo granaio siciliano. 

Audacissimi navigatori, questi antenati dei norvegesi, ricevendo accoglienze piuttosto ostili in tutte le contrade che visitavano, sia per il loro carattere rissoso sia perché, privi di donne nel corso dei loro venturosi viaggi, pretendevano, giunti a terra, di prendersi quelle degli altri, a un certo punto finirono per convincersi che il loro rifugio più sicuro era rappresentato dalle navi. Quel lontanissimo giorno ha inizio la bellissima storia della marina norvegese, arma da preda nei primi tempi e mezzo di commercio poi, quando la pirateria cominciò a diventare troppo pericolosa e poco redditizia per la concorrenza spietata dei Saraceni nel Mediterraneo e dei Britanni e degli Olandesi nei mari settentrionali.

Da allora la marina mercantile è sempre stata alla base di tutta la vita nazionale norvegese. Guerre e prosperità, crisi politiche ed economiche, tutte queste faccende fecero e fanno costantemente capo alla flotta. Fu per spalleggiarsi a vicenda che i norvegesi, nel 872, decisero di formare una unica nazione, in seno alla quale le varie tribù si impegnavano a prestarsi mutuo soccorso contro il nemico. Ma questa è storia vecchia, piena di leggende assai belle, ma che esulano dal nostro compito.


La separazione dalla Svezia
La più importante crisi politica generata dalla flotta in tempi moderni è quella occorsa trentacinque anni or sono, quando la Norvegia decise di separarsi dalla Svezia e di formare un Regno a sé. I due Paesi scandinavi vivevano pacificamente uniti sotto lo stesso simbolo reale, da quando, imperversando in Europa la sanguinosa gloria di Napoleone, un Bernadotte era salito al trono, Re di Svezia e di Norvegia. I due Paesi avevano allora propri Parlamenti, propri Governi, proprie leggi, propria amministrazione, costituivano, insomma, un tipico caso di «unione personale» sotto lo stesso Re, avendo in comune solamente il Ministero degli Affari Esteri, del quale potevano far parte funzionari o diplomatici sia norvegesi che svedesi. Ora avvenne che i funzionari svedesi fossero assai più numerosi di quelli norvegesi e che questi, invece, sentissero la necessità di avere nei ruoli la maggior parta dei consoli per tutelare gli interessi della flotta sparsa in tutti i mari del mondo. Sembra infatti che i consoli svedesi se ne infischiassero tranquillamente degli interessi di questi biondi marinai che partivano dalla Norvegia per farci ritorno dopo due o tre lustri. Vera o non vera questa faccenda, sta di fatto che, nel 1905, regnando Oscar II Bernadotte, la crisi scoppiò. 
Non accadde nulla di straordinario: il governo norvegese presentò le dimissioni a se stesso (questo è il solo particolare curioso) e poiché costituzionalmente il Re non poteva essere Re senza il Governo, Oscar II, automaticamente, cessò di essere Re di Norvegia. I pacifici norvegesi, allora, chiesero a Stoccolma un principe del sangue per farne il loro Sovrano, ma gli svedesi erano furibondi e risposero negativamente, dicendo che di Re ce n’è uno solo e che se volevano Oscar II bene, altrimenti andassero a cercarsene un altro. Dove? La scelta non fu difficile: chi aveva regnato sino al 1814 sulla Norvegia? La Casa di Glücksburg. Dov’era andata a finire questa Reale Famiglia? In Danimarca. Bene, una missione partì per Copenaghen, si presentò a corte e chiese che venisse restituita alla Norvegia la famiglia dei suoi legittimi Sovrani. I Danesi trovarono che la richiesta era davvero eccessiva, ma concessero che un principe partisse e Haakon VII di Glücksburg (che vuol dire «Rocca della Fortuna») divenne Re di Norvegia. 
Così i norvegesi furono in condizione di creare un Ministero degli Affari Esteri e di nominare tutti i consoli che vollero. Questi funzionari naturalmente, uscirono tutti dalle Compagnie di Navigazione e si sparsero per il mondo tutti intenti a difendere gli interessi dei loro padroni effettivi, convintissimi che servivano la Patria perchè la flotta e la Norvegia, per loro, sono esattamente la medesima cosa. Tutta questa faccenda si svolse tra il 29 maggio e il 7 giugno 1905. Se ne parlò moltissimo nel mondo, ma allora la mentalità era diversa e la borghesia frivola di quel felice periodo prebellico volle considerare lo sconquasso come un argomento per pettegolare su una Famiglia Reale piuttosto che la verità, rappresentata da una questione di marinai e di pescatori che poteva sembrare plebea, ma che rappresentava la vera vita del popolo norvegese. Dunque, nel 1905, i norvegesi, per difendere gli interessi della loro flotta, mandarono a spasso un Re e se ne presero un altro, lo stesso che regna ora con grande soddisfazione di tutti, perché Haakon VII è un sovrano amatissimo.


martedì 3 settembre 2019

Raymond Maufrais: storie e misteri di una vita avventurosa - II° parte


Nel 1947 Raymond Maufrais tornò in Francia, iniziò a riordinare i suoi taccuini di viaggio e a scrivere il libro "Aventures au Mato Grosso". Tenne conferenze a Tolone, in giro per la Francia e all'estero, annunciando il suo nuovo e ambizioso progetto: un viaggio solitario dalla Guyana francese al Brasile passando per i monti Tumuc-Humac fino alla città di Bélem. Una spedizione percorsa interamente a piedi e in canoa nella foresta amazzonica. 
Raymond era un uomo d’azione, sentiva fortemente il richiamo dell’avventura e il 17 giugno 1949, non senza una certa apprensione considerando il rischio dell’impresa, si imbarcò con in tasca un anticipo della rivista “Sciences et Voyages” sui suoi articoli futuri.

Sbarcato a Cayenne, capoluogo della Guyana, continuò a scrivere sul suo taccuino raccontando la vita quotidiana dei lebbrosi di Acarouany, quella dei prigionieri liberati, degli indiani Galibis lungo la costa, dei cercatori d'oro, finché nel settembre del ‘49 ottenne di accompagnare una missione geologica raggiungendo dopo nove giorni in canoa il villaggio di Sophie. 
Rimase tre settimane a Maripasoula in attesa che le piogge si calmassero per poi riprendere il viaggio. Un viaggio che iniziò in modo frugale senza possibilità di fare provviste, non avendo più soldi per comprarne: decise che si sarebbe nutrito unicamente di quel che avrebbe cacciato e pescato.

Iniziò il cammino con lo zaino sulle spalle e il fucile in mano, ma ben presto si rese conto che il peso del suo equipaggiamento era eccessivo e lo divise a metà. Per i primi dieci giorni camminò un chilometro, posando la prima borsa per poi tornare sui propri passi a recuperare la seconda. Aggiornò con costanza il suo diario di viaggio esprimendo i suoi umori, le sue difficoltà, le sue speranze, le sue ansie e il calvario fisico: la caviglia slogata, la difficoltà di reperire cibo, la dissenteria e la dura battaglia contro l'ostilità della foresta. 
Il primo giorno del 1950, in uno stato di completo sfinimento, raggiunse il Dégrad Claude, piccolo molo sul fiume Tamouri. Nel delirio della fame elaborò l’unico piano che gli parve sensato, che prevedeva di nuotare fino al villaggio creolo di Bienvenue, a 70 chilometri di distanza, rifornirsi di viveri e, una volta ristabilito, raggiungere nuovamente il punto in cui si trovava per recuperare le attrezzature e ricominciare il viaggio.
Venerdì 13 gennaio, mise tutto l’essenziale nella borsa impermeabile della sua macchina fotografica, prese con sé il machete, nascose bagaglio e quaderni di viaggio in una piccola capanna trovata sulla via e nonostante la sua estrema debolezza si tuffò nel fiume scomparendo tra i vortici.
Nessuno lo vedrà più.

Circa un mese dopo un indiano Emérillon trovò i quaderni che Raymond aveva abbandonato, ma solo il 6 luglio 1950 l'agenzia di stampa della Guyana olandese (oggi Suriname) lanciò in tutto il mondo la notizia della scomparsa di Maufrais. Il giorno appresso la stampa francese ne parlò e fu l'inizio del "The Maufrais Affair", una colossale serie di articoli, ipotesi più o meno razionali, polemiche infinite con cui i giornalisti francesi portarono alla ribalta la scomparsa del 24enne di Tolone.

C’è però una seconda avventura, ancora più sensazionale di quella di Raymond, che iniziò il 18 luglio 1952. E’ il lungo e toccante viaggio intrapreso da Edgar Maufrais il quale imbarcatosi alla volta del Brasile, viaggiò per tutta l'Amazzonia alla ricerca del figlio, raggiungendo i luoghi in cui era stato informato della presenza di un uomo bianco.


Edgar, convinto che Raymond fosse ancora vivo, organizzò diciotto spedizioni, percorse dodicimila chilometri in dodici anni, mostrando a tutti quelli che incontrava la foto di suo figlio, senza fermarsi di fronte a nulla e senza alcuna preparazione tecnica, né mezzi di sostentamento.
Un viaggio di ricerca che si concluse nel giugno del 1964 con il ritorno a Tolone, dopo aver rischiato di morire per sfinimento nella foresta amazzonica. Edgar Maufrais morì nel 1954 e dopo dieci anni se ne andò anche sua moglie, che aveva gradualmente perso la ragione per aver atteso da sola per quasi dodici anni il ritorno di suo marito e di suo figlio.

La famiglia Maufrais ha dato al mondo una lezione di coraggio, fede e amore, ancora oggi unica e ineguagliata. All’epoca in cui si svolsero i fatti, nel 1951, venne creata a Tolone l'Associazione degli amici dell'esploratore Raymond Maufrais, nata con l’intento di aiutare Edgar nella complessa e pericolosa ricerca del figlio. Nel luglio del 1990 gli ex membri dell'associazione, nonché amici di padre e figlio e numerosi ammiratori, decisero di far rivivere questa organizzazione e nacque così l'Associazione degli amici dell'esploratore Raymond Maufrais, ribattezzata nel 2015 "Associazione degli amici di Edgar e Raymond Maufrais" (AAERM), che da oltre 65 anni tiene viva la memoria di quanto accaduto.
Nel 2014 il regista Jeremy Banster ha portato sullo schermo la storia della spedizione amazzonica di Raymond Maufrais nel film “La vie pure” e l’esploratore parigino Eliott Schonfeld, nell'estate 2019, ha ripercorso in solitaria la rotta della Guyana che Raymond aveva compiuto 70 anni prima.

Per saperne di più potete dare un’occhiata alla sua pagina Facebook :
e al suo sito

lunedì 2 settembre 2019

Raymond Maufrais: storie e misteri di una vita avventurosa - I° parte

Sulla copertina del volume “Aventures en Guyane”, pubblicato nel 1952 da Julliard nella collezione "La Croix du Sud", diretta da Paul-Émile Victor, vediamo un giovane in giacca safari, con la pipa in mano. Il viso è liscio, ben delineato, la fronte alta e larga, il sorriso appena accennato, l'aria determinata: l'immagine perfetta dell'eroe.
E’ la foto di un giovane esploratore francese nativo di Tolone, scomparso nella giungla a 24 anni, di cui non si seppe più nulla e di cui non fu ritrovato neppure il corpo.
Se la foresta pluviale l'ha inghiottita ormai da tempo, la sua memoria è ancora viva tra tutti coloro che lo conoscevano, o che sono stati toccati dalla tenacia con cui suo padre è andato a cercarlo fin nelle più remote regioni amazzoniche.

Si chiamava Raymond Maufrais e questa è la sua storia.

Raymond Maufrais nacque a Tolone, il primo giorno di ottobre del 1926, sotto il segno della Bilancia. Sin dai primi anni di scuola, manifestò un carattere forte e conflittuale, tanto che i genitori si trovarono presto obbligati a mandarlo in collegio fuori città, a nove anni non compiuti.
Con due compagni, ai quali lodò le lontane colonie francesi come un paradiso terrestre, saltò le mura del collegio e scomparve nelle regioni boscose e collinari del Haut-Var. La gendarmeria, dopo aver battuto la regione per quattro giorni, trovò Raymond e i suoi due compagni in una grotta, in buona salute: avevano portato con sé delle provviste. "Pensavo di poter arrivare in una colonia camminando verso la montagna", ammise ai gendarmi.

Nell'ottobre del 1939, entrò nell'École Rouvière a Tolone. Non era quello che si potrebbe definire uno studente brillante, ma aveva ottimi voti in letteratura e amava i classici a tal punto che il suo insegnante di francese, osservando queste sue doti di scrittore, lodò la sua capacità di descrivere luoghi e situazioni. Fu allora che i suoi insegnanti iniziarono a chiamarlo "il futuro giornalista", cosa che lusingò enormemente le ambizioni del piccolo Raymond, ma che gettò nella disperazione sua madre, la quale non aveva mai nascosto il desiderio di saperlo, un giorno, impiegato contabile presso l'Arsenale marittimo di Tolone, così come il padre Edgar.
Raymond, a quel punto, attaccò di fronte al suo banco di scuola, una mappa del Sud America, acquistata all’insaputa dei genitori. All’altezza del Mato Grosso, stato del Brasile centrale il cui nome significa "giungla fitta", disegnò una croce rossa e disse alla madre: "Questo è dove andrò. Diverse spedizioni hanno fallito, ma io ci riuscirò".

Durante la seconda guerra mondiale partecipò, come molti giovani della sua età, a piccole azioni di resistenza, con cui sentì che stava aiutando il proprio Paese nella lotta per liberare la Francia dall'oppressore; suo padre Edgar, al pari suo, si unì segretamente alla resistenza nel giugno del 1942 e divenne leader di gruppo partigiano.
Dopo la liberazione di Tolone, Raymond volle condurre una attiva, una vita da uomo come la definiva e così si arruolò nell'esercito, prima come corrispondente di guerra, poi come paracadutista. Viaggiò in Corsica, in Italia, lungo la Costa Azzurra e nel luglio del 1946 si imbarcò per il Brasile, senza un soldo in tasca.


A Rio de Janeiro conobbe una dozzina di giovani, di origini e nazionalità diverse, ma tutti accomunati e guidati dal demone dell'avventura: una sera di inizio settembre, scommise mille cruzeiros con l'editore del Brazilia Herald che sarebbe andato nelle terre inesplorate del Brasile centrale; attraverso una fitta rete di amicizie intessute in poco tempo, riuscì davvero nel suo intento e gli venne data l’opportunità di partecipare a una missione di pace con gli indiani Chavantes, chiamati "gli assassini del Mato Grosso" e considerati molto ostili ai bianchi.
Ingannò l’attesa delle settimane che precedevano questa avventura prendendo appunti per il libro che intendeva scrivere. Incontrò trafficanti di pelle, cercatori d'oro e di diamanti, descrisse le sofferenze, le speranze e le delusioni di queste persone, ossessionate dalla scoperta della grande pepita o del colossale diamante che avrebbe potuto renderli immensamente ricchi.
Alla fine la missione ebbe inizio e dopo 1.800 chilometri di fiumi, 900 di pampas e foreste, giunse in una radura nel cuore del Mato Grosso, in cui scoprì i resti di una spedizione precedente. Lo stupore venne improvvisamente interrotto dall’accoglienza ostile degli indiani, che scagliarono frecce sugli esploratori, disperdendoli in una fuga precipitosa. Il ritorno fu particolarmente doloroso. La truppa, al colmo della delusione, tornò sui propri passi soffrendo la fame e la sete.

martedì 27 agosto 2019

L'ebbrezza del camminare. Piccolo manifesto in favore del viaggio a piedi

"Nell'epoca in cui vanno di moda le forme di viaggio rapide e facili, perché l’andare a piedi resta un modo privilegiato di relazionarsi con il mondo? Perché permette una più intensa sottigliezza dello sguardo sulla natura e una più grande disponibilità verso gli altri? Quali sono i luoghi del pensiero ai quali accede il camminatore di lungo corso? Grazie alla diversità dei terreni e del clima che egli affronta, al rapporto specifico che intesse con i luoghi che attraversa, il viaggiatore a piedi prova scoperte e sensazioni particolari, intimamente legate all'ascesi e alla semplicità della propria vita nomade: l’incontro umano, che il cammino rende più sincero, il confronto con la fauna selvaggia, che l’andare a piedi consente di avvicinare meglio, un ritorno meditativo su di sé infine, sono le ricompense per chi fa lo sforzo di camminare liberamente e di prendere il suo tempo."


Prezzo: € 8,50
Numero di pagine: 96

martedì 9 luglio 2019

Le Parole dell'Avventura: FILIBUSTIERE

SIGNIFICATO Pirata del XVII secolo; persona disonesta
ETIMOLOGIA dall'inglese freebooter composto di free libero e booty bottino - saccheggiatore libero, nome con cui venivano indicati i bucanieri inglesi.
PAROLA DELLE ORIGINI
Filibustieri, bucanieri, corsari, pirati. Vogliono dire la stessa cosa? Non esattamente.

I bucanieri erano dei cacciatori di frodo dell'entroterra, che traevano il loro nome da [boucan] la graticola su cui arrostivano la carne - secondo l'usanza dominicana del [barbicoa], da cui deriva [barbecue]. Rozzi e non ben organizzati, la loro storia cambiò con una particolare alleanza.

Dei fuggitivi olandesi, francesi e inglesi, cacciati dagli Spagnoli da altre isole delle Antille, si riunirono sull'isola di Tortuga all'inizio del XVII secolo, e con la connivenza istituzionale dei rispettivi Stati fondarono la "Filibusteria", associazione che assaltava i ricchi possedimenti e i galeoni spagnoli. Ma l'appoggio istituzionale non era ufficiale, e in questo i filibustieri si distinguevano dai corsari, che invece possedevano una "lettera di corsa" o "di marca" firmata dal sovrano, con cui erano autorizzati a saccheggiare le navi mercantili nemiche (mentre i pirati erano fuorilegge autocratici, senza alcun legame istituzionale). Ad ogni modo l'odio comune per gli Spagnoli fece unire i bucanieri ai filibustieri, e il nome di questi ultimi ebbe una tale risonanza da essere utilizzato anche nel Vecchio Continente per indicare le bande di saccheggiatori; infine questo termine passò ad indicare semplicemente le persone disoneste, con un colore che rifacendosi a tanta storia impreziosisce il discorso in cui sia inserito.

Finito il 1700, le potenze marittime decisero di porre fine al potere della Filibusteria, e i filibustieri dei Caraibi furono dispersi, sopravvivendo come avventurieri in Africa e nel Pacifico - finché anche le ultime parti bianche della cartina del mondo non furono riempite.

venerdì 28 giugno 2019

I diecimila Buddha di Po Win Taung

Nella Birmania centrale lungo la riva destra del fiume Chindwin, a duecento chilometri dalla città di Mandalay, sorge il sito sacro di Po Win Taung, la più grande collezione di pitture rupestri nel sud-est asiatico. Un santuario eccezionale e poco conosciuto, che ripercorre in mille grotte molti secoli di arte, storia e cultura buddista.


Queste grotte che da fuori non sembrano essere così degne di nota, al loro interno custodiscono un vero tesoro: tutte le gallerie furono scavate da semplici fedeli o da artisti di talento pagati da ricchi credenti, per lo più tra il XIV e il XVIII secolo. Costituiscono quindi un'antologia unica di sale di preghiera e cappelle che contengono quasi diecimila rappresentazioni del Buddha, tra sculture dipinte e pitture murali.
Ciascuno dei templi sotterranei ha una sua atmosfera speciale, a seconda dello stile artistico proprio del periodo storico in cui è stato costruito. Custodita da quattro leoni a grandezza naturale la grotta di Naraban risalente al 1550, si distingue come una delle più antiche, mentre le grotte dipinte con uno sfondo vermiglio, come quella della Rosetta, sono caratteristiche del XVII secolo e i vasti templi che imitano l'architettura europea risultano scolpiti nel XIX secolo. 
Sebbene la realizzazione delle sculture e delle pitture murali copra un arco temporale molto più ampio, la maggior parte di esse appartiene allo stile Naung Yan: il secondo periodo del cosiddetto stile Inwa o Ava, sviluppatosi tra il 1597 e il 1752. Questo stile delicato presenta personaggi allungati con visi dolci e arrotondati che prendono parte a scene pie o profane. Un magnifico esempio di questo periodo, la cosiddetta "Queen's Cave" stupisce il visitatore con un soffitto riccamente dipinto che illustra, come in un cartone animato, le ultime dieci vite del Buddha sulla via dell'illuminazione.
L'area sacra di Po Win Taung è ancora oggi molto frequentata proprio come luogo di culto. Una continuità storica dimostrata dalle offerte portate in dono dai pellegrini, i quali accendono bastoncini di incenso e depositano doni sugli altari, esattamente come raffigurato nelle pitture murali di trecento anni prima.


Relativamente ben conservati fino ad oggi, questi tesori dimenticati purtroppo stanno gradualmente subendo le devastazioni del tempo: le inondazioni del vicino fiume, la friabilità della roccia vulcanica, la mancanza di regole per gestire il numero crescente dei turisti e persino la presenza di una colonia di macachi piuttosto invadenti stanno creando dei seri problemi alla conservazione di questo patrimonio. 
Senza contare la minaccia rappresentata dai saccheggiatori, che razziano spudoratamente inestimabili gioielli di arte sacra, tagliando le teste di molte statue per rivenderle.
Anche se l'impermanenza del mondo è uno dei concetti chiave del buddismo, il nostro augurio è che i credenti di Po Win Taung troveranno insieme il modo per salvare questi tesori di bellezza strappati all'oscurità.

martedì 7 maggio 2019

La seduzione dell'avventura. Piccole scuse per fughe verso l'ignoto

"L’avventura è il viaggio della vita, l’andare verso l’incognito conoscendo solo il punto di partenza. Un’irrequietezza che da sempre ha agitato l’animo dell’uomo fin da quando, nel bel mezzo delle savane africane, ancora non uomo ma non più nemmeno scimmia, provava ad alzarsi sulle zampe posteriori per poter vedere oltre quel mare d’erba, per provare a intuire cosa c’era oltre l’orizzonte. Attraverso riflessioni costellate di racconti e aneddoti, dall'avventura dell’esploratore polare Ernest Shackleton a quella vissuta sull'Everest dallo sciatore giapponese Yuichiro Miura, dal viaggio in aerostato di Andrée alle traversate oceaniche in barca a vela di Bernard Moitessier, l’autore Alberto Sciamplicotti prova a dipanare quel filo che lega l’esistenza dell’uomo al desiderio di scoperta e di avventura. 
Una ricerca senza fine perché sempre nuova."


Prezzo: € 8,50
Numero di pagine: 96

venerdì 19 aprile 2019

Le Parole dell'Avventura: ARCIPELAGO

SIGNIFICATO Gruppo di isole; gruppo di cose simili
ETIMOLOGIA probabilmente dal greco: Aigaios pelagos Mare Egeo.

La geografia delle isole greche è diventata, nel nome del Mare Egeo, paradigmatica: l'arcipelago individua un insieme di isole simili e vicine - ed è un concetto che anche in Italia ci è molto familiare. Già questa immagine è molto bella: racconta una realtà geografica piena di fascino, viaggi in barca per spostarsi da un'isola all'altra, l'esplorazione, la ricerca di calette deserte, il divertimento sfrenato e contento che si risponde da diverse sponde, o fantasticherie su isole tropicali sparse nell'oceano, e il lieve cambiar dei costumi di lido in lido. Più importante è però il senso figurato.

Da quando Solženicyn scrisse il suo "Arcipelago Gulag", pubblicato nel '73, denunciando al mondo la realtà dei gulag russi (ossia dei campi di lavoro forzato), l'uso di questa parola ha acquisito un certo vigore; inizia infatti a rappresentare i nodi simili di un reticolo organizzato, una realtà capillare, intessuta di scambi. Se in "Arcipelago Gulag" ciò è tragicamente riferito all'organizzazione dei gulag, possiamo apprezzarne l'uso in molti contesti: gli arcipelaghi delle associazioni di volontariato, degli indirizzi di una facoltà, delle cucine tipiche regionali. Gli arcipelaghi non sono semplici costellazioni: fra le singolarità ci sta in mezzo uno scambio vivo - affrancato dal nome di morte del Mare Egeo.




Nota mitologica extra: perché il Mare Egeo si chiama così?

Teseo era partito alla volta di Creta, per sconfiggere il Minotauro e liberare gli Ateniesi dal tributo in vite umane che Minosse imponeva loro per sfamare il suo mostruoso pargolo. Egeo, padre di Teseo, si era accordato col figlio: se fosse tornato vincitore avrebbe dovuto issare sulla nave vele bianche; altrimenti, se fosse morto, le vele sarebbero dovute rimanere nere. Sappiamo che Teseo arrivò a Creta, flirtò con Arianna, figlia di Minosse, riuscendo a farsi aiutare da lei a cavarsela nel labirinto grazie al famoso filo, uccise il Minotauro, sortì e se ne saltò sulla nave coi compari ateniesi salvati dal dedalo di Minosse. Arianna venne con lui, però era noiosa, e fu mollata dopo poco sull'isola di Nasso (da qui l'espressione piantare in asso, da piantare in Nasso). Ad ogni modo Teseo si scordò la faccenda delle vele e lasciò su quelle nere. Egeo, che se ne stava sempre a scrutare il mare in attesa del figlio a Capo Sounion, vedendo le vele e intendendo erroneamente che suo figlio era morto si gettò in mare dalla scogliera. Quel mare prese il suo nome - e così tutti gli arcipelaghi.

martedì 5 marzo 2019

Alexander Selkirk, in arte Robinson Crusoe

Primo febbraio 1709. Un uomo nascosto nel folto del bosco osserva con timore l'arrivo di due navi all'orizzonte. Sulla spiaggia, dalla quale s’è allontanato di corsa, ha lasciato un fuoco acceso che viene notato immediatamente dagli uomini appena sbarcati. Il giorno dopo esce dal suo nascondiglio e dietro alla barba lunga e arruffata lascia intravedere un sorriso e si intuire un curioso senso di sollievo. Il nome di quest’uomo è Alexander Selkirk e da quattro anni e quattro mesi vive come un naufrago nella più terribile solitudine su una delle isole deserte dell’arcipelago Juan Fernández, a 670 chilometri dalla costa del Cile. Il corsaro Woodes Rogers e i marinai delle sue due navi, Duke e Dutchess, rimangono senza parole al cospetto di quest’uomo scalzo, vestito di pelli di capra e con in mano un vecchio moschetto arrugginito. Dopo quattro lunghi anni trascorsi sulla sabbia nel Pacifico, Alexander Selkirk viene finalmente salvato.
Al rientro in Inghilterra Selkirk diviene una celebrità e la storia della sua permanenza solitaria sull'isola ispira lo scrittore britannico Daniel Defoe, che nel 1719 pubblica Robinson Crusoe, uno dei grandi classici dell’avventura.

Dalla storia.. 
Alexander Selkirk nacque nel 1676 a Lower Largo, una cittadina nella contea di Fife a nord di Edimburgo. Fin da bambino manifestò un carattere oscuro e violento, tanto che rifiutato dalla sua comunità, decise di diventare marinaio. Si unì nel 1703 alla spedizione organizzata dal famoso corsaro ed esploratore inglese William Dampier, con un solo obiettivo: guadagnare molti soldi nelle spedizioni verso i Mari del Sud.
A bordo del galeone Cinque Ports guadagnò rapidamente una buona reputazione da marinaio, ma fu da subito in aperto conflitto il comandante Thomas Stradling, mantenendo invece buoni rapporti con Dampier alla guida della seconda nave, il St. George.
La spedizione nei Mari del Sud fu deludente: le navi attraversarono a malapena Cape Horn e, lungo la costa del Pacifico, le catture furono scarse. Nell'ottobre del 1704, dopo accesi conflitti, i due equipaggi si separano e durante una pausa nell'arcipelago Juan-Fernandez a più di 600 km dalla costa cilena, la Cinque Ports ancorò vicino all'isola Más a Tierra. Stradling voleva ripartire immediatamente, ma Selkirk si oppose perché, disse, la nave aveva bisogno di riparazioni prima di riprendere il largo. Chiese quindi di essere sbarcato, dichiarando che avrebbe preferito rimanere sull'isola piuttosto che continuare a navigare su una nave che imbarcava acqua e cercò di convincere alcuni compagni a disertare. Nessuno lo seguì. Felice di sbarazzarsi di quel ribelle, Stradling lo sbarcò su due piedi, non prima di avergli dato un moschetto, dei proiettili, una libbra di polvere da sparo, un coltello, una pentola, dei vestiti e una bibbia. A nulla valse ritrattare le proprie posizioni, la ciurma del Cinque Ports lo abbandonò facendo vela verso l’orizzonte, ignorando che la sua sorte sarebbe stata molto più crudele che quella di Selkirk.

Selkirk legge la sua Bibbia in una delle due capanne costruite su una montagna. Illustrazione tratta da "The Life and adventures of Alexander Selkirk, the real Robinson Crusoe: a narrative founded on facts" (archived by Google Books)

Il primo anno di vita sull'isola fu il più difficile. Lacerato dall'angoscia, Selkirk rimase vicino alla riva, scrutando febbrilmente l'orizzonte e mangiando quel poco riusciva a trovare. Solo in un secondo momento si ritirò sull'isola, scoprendo con meraviglia una quantità di risorse insospettate. Le capre, introdotte durante le incursioni spagnole, gli salvarono la vita diventando materia prima inesauribile sia per mangiare che per vestirsi
A poco a poco, Alexander riacquisì la fiducia in se stesso, creando un mondo tutto suo. Si costruì una capanna a due stanze, una per cucinare, l'altra per riposare. La fede presbiteriana lo aiutò e, stando a quanto riferì, leggendo ad alta voce la Bibbia e i salmi si salvò dalla follia. "Con la forza della ragione e una lettura assidua degli scritti, volgendo i suoi pensieri verso lo studio della navigazione, finisce per riconciliarsi perfettamente con le sue condizioni", avrebbe scritto più avanti nel suo libro "L'inglese" il giornalista Richard Steele, uno dei primi a narrare l'epopea di Selkirk.
Alexander lo ripeté più volte al suo ritorno: i suoi ultimi anni a Más a Tierra furono per lui un periodo felice, di una tranquillità che non trovò mai più dopo la sua partenza, il 2 febbraio 1709, perché il ritorno alla civiltà fu molto difficile. Il suo carattere ombroso e i suoi demoni tornarono a tormentarlo e nel 1713 dovette fuggire da Bristol dove fu accusato di aver aggredito un falegname; si rifugiò nel suo villaggio natale e visse per un po’ in una grotta dietro casa di suo padre. 
Il richiamo del mare però lo spinse dopo qualche tempo a riprendere il largo e ad unirsi alla Royal Navy nel 1720. Morì di febbre gialla un anno dopo, il 13 dicembre 1721, su una nave mercantile vicino alle coste del Ghana, dimenticato da tutti, mentre un certo Robinson Crusoe stava diventando famoso nel mondo.

… alla leggenda
Robinson Crusoe non si limitò a prendere in prestito gli abiti di Selkirk, ma in un certo senso si sovrappose alla sua figura assimilandone la memoria, creando il mito dell'uomo abbandonato da tutti, costretto a lottare per preservare la propria parte di umanità minacciata dal ritorno a una vita selvaggia. 

Robinson Crusoe, in un disegno di N. C. Wyeth, ispirato alla descrizione di Selkirk fatta da Rogers 
Foto: Christie’s Images / Scala, Firenze

Dal 1 gennaio 1966 l’isola, conosciuta come Isla Más a Tierra, l'isola più vicina alla costa continentale del Cile, si chiama ufficialmente Isla Robinson Crusoe (ne abbiamo parlato nel post dal titolo “L'isola di Robinson Crusoe”), mentre l'isola dell'arcipelago detta Isla Más Afuera (l'isola più esterna), è stata ribattezzata isola Alexander Selkirk proprio in omaggio al marinaio scozzese.

Il ricordo di Alexander Selkirk riemerse gradualmente nella memoria collettiva, grazie all'interesse di artisti e storici. Nel 2005 i ricercatori hanno trovato tracce del suo accampamento e tra racconti, fumetti e film ispirati alla sua avventura sembra proprio che sia giunto anche per lui il momento di diventare un eroe; un personaggio dalla vita burrascosa e straordinaria capace, con la sua storia, di far sognare generazioni di lettori di tutto il mondo.

martedì 12 febbraio 2019

Le aurore boreali tra le pagine di Jules Verne

In Finlandia c'è una leggenda secondo cui l’aurora boreale sarebbe nata dalla coda di una volpe. 
L'antica storia racconta che questo grazioso animale correndo tra le montagne innevate, ne urtava ad ogni passo le bianche coltri; ogni scintilla di ghiaccio guizzando leggera in alto, turbinava verso il cielo dando vita al “revontulet” che in finlandese significa letteralmente fuochi della volpe.

Anche il Dott. Clawbonny nel romanzo di Jules Verne rimane incantanto da quella danza leggera di luci e colori e noi del Club non potevamo non proporvi una breve passo tratto da un grande classico dell'avventura.
Buona lettura a Voi.


"In quasi tutte le notti, il dottore poteva osservare delle magnifiche aurore boreali; dalle quattro alle otto della sera il cielo coloravasi leggermente verso il nord; poi quella colorazione assumeva la forma regolare d'un orlo giallognolo, le estremità del quale sembravano marcarsi sul campo di ghiaccio. A poco a poco la zona luminosa elevavasi nel cielo secondo il meridiano magnetico, ed appariva rigata di fasce nerastre; getti di materia luminosa si formavano, si allungavano, diminuivano od aumentavano il loro splendore; la meteora, giunta al suo zenit, componevasi sovente di parecchi archi che va riavano le loro onde dei colori della luce, rosso, giallo e verde. Era un abbagliante, un incomparabile spettacolo. Poi le varie curve riunivansi in un sol punto, formando delle corone boreali d'uno splendore del tutto celeste. Finalmente gli archi si premevano gli uni contro gli altri, formando delle volute; la splendida aurora impallidiva, i raggi intensi si cangiavano in albori pallidi, vaghi, in determinati, indecisi, e il meraviglioso fenomeno indebolito, quasi estinto, svaniva insensibilmente nelle nubi Oscure del Sud.
Non è possibile immaginar la magia di un tale spettacolo, sotto le alte latitudini, a meno di otto gradi dal polo; le aurore boreali osservate nelle regioni temperate non possono somministrarne neppure un debole saggio ; sembra che la Provvidenza abbia voluto riserbare a quei climi le sue meraviglie più sorprendenti. Numerosi paraseleni apparivano egualmente mentre splendeva la luna, parecchie immagini della quale si riproducevano allora nel cielo, accrescendone lo splendore; sovente pure semplici aloni lunari contornavano l'astro della notte, brillante nel centro d'un circolo luminoso con isplendida intensità."

"Avventure del capitano Hatteras: Gl'inglesi al Polo Artico. Parte prima" di Giulio Verne. Milano, Fratelli Treves Editori, 1874.

lunedì 7 gennaio 2019

Primo soccorso - COSA AVERE NEL PROPRIO KIT (II° parte)



Riprendiamo il discorso da dove l'avevamo interrotto (Primo soccorso - COSA AVERE NEL PROPRIO KIT (I° parte))


    - Kit di primo soccorso -

● Telo termico:
Detto anche telino isotermico o metallina, viene utilizzato per mantenere il calore corporeo in caso di ipotermia e per rifletterlo in caso di colpi di calore. Usarlo è semplice: con il lato dorato a vista si trattiene il calore, mentre con il lato argentato a vista si proteggere l'infortunato da un incremento pericoloso della temperatura corporea.

● Bustine di zucchero:
Utili in caso di calo pressorio quando fa eccessivamente caldo.

● Sacchetti di ghiaccio istantaneo:
Nel caso in cui si dovessero raffreddare parti contuse, traumatizzate, o servisse rinfrescare la testa a seguito di un colpo di calore.

● Creme antistaminiche:
Si usano per trattare dermatiti localizzate, eritemi solari e punture di insetti.

● Piccola farmacia di base:
Ognuno di noi sa quali sono i disturbi più frequenti di cui soffre, o quelli di cui saltuariamente potrebbe patire. Tenere una piccola scorta di farmaci nel kit di primo soccorso, darà una sicurezza di autonomia in più al nostro viaggio.

● Termometro

● Crema solare:
"Il sole è nuovo ogni giorno" diceva il filosofo Eraclito, ma siccome sappiamo che i suoi effetti prolungati sulla pelle possono esserci dannosi, è meglio portarsi dietro una crema solare dal fattore di protezione più indicato per le caratteristiche della nostra pelle. Il fattore si riferisce alla quantità di radiazioni fermate dal filtro della crema: più è alto meno raggi Uv passano.
(Leggi l'approfondimento sull'eritema solare)

● Cerotto per vesciche:
"Prevenire è meglio che curare", recita un adagio arcifamoso e il cerotto per vesciche serve proprio a questo, ossia a prevenire l'insorgere di una fastidiosa e talvolta dolorosa lesione che si verifica in una zona cutanea sottoposta ad un costante sfregamento. A farne le spese è il piede, spesso per colpa di uno scarpone troppo largo, o se le calze formano delle pieghe tra la pelle e la calzatura. E' meglio prevenirle applicando al subito, sulla porzione di cute interessata, un cerotto antisfregamento o del cerotto chirurgico.
(Leggi l'approfondimento sulle vesciche)

● Lozione dopopuntura:
Il dopopuntura è un prodotto che dà sollievo alla pelle dagli effetti delle punture di insetto, dal contatto accidentale con piante urticanti e meduse.

venerdì 4 gennaio 2019

Primo soccorso - COSA AVERE NEL PROPRIO KIT (I° parte)


La vita di ogni esploratore è piena di meraviglie, è vero, ma anche di molti imprevisti che potrebbero rovinare il piacere di un'esperienza in Natura. Sarebbe un vero peccato se rami taglienti, piante urticanti, punture di insetti rovinassero, o peggio compromettessero, un'uscita solitaria o in compagnia.

Ciò che segue è quel che deve contenere un kit di primo soccorso, una dotazione di base che con un minimo ingombro e peso, permette di portarsi appresso l'indispensabile.


    - Kit di Primo Soccorso -

Disinfettante liquido:
Pulire le escoriazioni e le ferite più superficiali con una garza inumidita con qualche goccia di acqua ossigenata, può darci la sicurezza di aver disinfettato la parte al meglio.

Cerotti pronti:
Quando si tratta di curare una ferita minore, alcune persone la lasciano semplicemente scoperta pensando che l'aria possa farla guarire. In realtà è vero il contrario: un ambiente umido non solo accelera il processo di guarigione, perché le cellule per rigenerarsi hanno bisogno proprio di un ambiente umido, ma aiuta a prevenire cicatrici e croste, mantenendo la ferita morbida. 
Un cerotto areato rappresenta una buona difesa dalle infezioni e dalle malattie che i microbi penetrati attraverso la breccia aperta dalla ferita potrebbero causare.

Garze e cerotto chirurgico:
La garza sterile aiuta nella medicazione delle ferite di qualsiasi entità, perché tampona, protegge e si presta ad essere utilizzata per disinfettare; normalmente viene tagliata in rettangoli o quadrati e sigillata in buste sterili (le cosiddette "compresse"), che possono essere utilizzate per pulire le ferite. Quando confezionata in rotoli può essere invece usata per le fasciature. 

Forbici:
Non possono mancare nel kit, che siano del modello per il primo soccorso, o semplici forbici dalla punta arrotondata. Si adattano a ogni esigenza e sono in grado di tagliare facilmente bende, cerotti a metraggio, etc.

● Steri-strip:
Sono strisce adesive sterili e ipoallergeniche utilizzate per la sutura cutanea, eccezionali nel favorire il processo di guarigione delle ferite di media profondità.

Guanti in lattice:
Durante le medicazioni è sempre bene avere le mani pulite, oppure ben guantate per evitare di infettare le ferite che si stanno medicando; senza contare poi che si potrebbe avere la necessità di soccorrere uno sconosciuto in difficoltà, evenienza che rende ancor più necessaria la presenza nel kit di primo soccorso di almeno un paio di guanti monouso. 

Pinzette:
Indispensabili per estrarre spine o corpi estranei infissi nella pelle.