Sulla copertina del volume “Aventures en Guyane”, pubblicato nel 1952 da Julliard nella collezione "La Croix du Sud", diretta da Paul-Émile Victor, vediamo un giovane in giacca safari, con la pipa in mano. Il viso è liscio, ben delineato, la fronte alta e larga, il sorriso appena accennato, l'aria determinata: l'immagine perfetta dell'eroe.
E’ la foto di un giovane esploratore francese nativo di Tolone, scomparso nella giungla a 24 anni, di cui non si seppe più nulla e di cui non fu ritrovato neppure il corpo.
Se la foresta pluviale l'ha inghiottita ormai da tempo, la sua memoria è ancora viva tra tutti coloro che lo conoscevano, o che sono stati toccati dalla tenacia con cui suo padre è andato a cercarlo fin nelle più remote regioni amazzoniche.
Si chiamava Raymond Maufrais e questa è la sua storia.
Raymond Maufrais nacque a Tolone, il primo giorno di ottobre del 1926, sotto il segno della Bilancia. Sin dai primi anni di scuola, manifestò un carattere forte e conflittuale, tanto che i genitori si trovarono presto obbligati a mandarlo in collegio fuori città, a nove anni non compiuti.
Con due compagni, ai quali lodò le lontane colonie francesi come un paradiso terrestre, saltò le mura del collegio e scomparve nelle regioni boscose e collinari del Haut-Var. La gendarmeria, dopo aver battuto la regione per quattro giorni, trovò Raymond e i suoi due compagni in una grotta, in buona salute: avevano portato con sé delle provviste. "Pensavo di poter arrivare in una colonia camminando verso la montagna", ammise ai gendarmi.
Nell'ottobre del 1939, entrò nell'École Rouvière a Tolone. Non era quello che si potrebbe definire uno studente brillante, ma aveva ottimi voti in letteratura e amava i classici a tal punto che il suo insegnante di francese, osservando queste sue doti di scrittore, lodò la sua capacità di descrivere luoghi e situazioni. Fu allora che i suoi insegnanti iniziarono a chiamarlo "il futuro giornalista", cosa che lusingò enormemente le ambizioni del piccolo Raymond, ma che gettò nella disperazione sua madre, la quale non aveva mai nascosto il desiderio di saperlo, un giorno, impiegato contabile presso l'Arsenale marittimo di Tolone, così come il padre Edgar.
Raymond, a quel punto, attaccò di fronte al suo banco di scuola, una mappa del Sud America, acquistata all’insaputa dei genitori. All’altezza del Mato Grosso, stato del Brasile centrale il cui nome significa "giungla fitta", disegnò una croce rossa e disse alla madre: "Questo è dove andrò. Diverse spedizioni hanno fallito, ma io ci riuscirò".
Durante la seconda guerra mondiale partecipò, come molti giovani della sua età, a piccole azioni di resistenza, con cui sentì che stava aiutando il proprio Paese nella lotta per liberare la Francia dall'oppressore; suo padre Edgar, al pari suo, si unì segretamente alla resistenza nel giugno del 1942 e divenne leader di gruppo partigiano.
Dopo la liberazione di Tolone, Raymond volle condurre una attiva, una vita da uomo come la definiva e così si arruolò nell'esercito, prima come corrispondente di guerra, poi come paracadutista. Viaggiò in Corsica, in Italia, lungo la Costa Azzurra e nel luglio del 1946 si imbarcò per il Brasile, senza un soldo in tasca.
A Rio de Janeiro conobbe una dozzina di giovani, di origini e nazionalità diverse, ma tutti accomunati e guidati dal demone dell'avventura: una sera di inizio settembre, scommise mille cruzeiros con l'editore del Brazilia Herald che sarebbe andato nelle terre inesplorate del Brasile centrale; attraverso una fitta rete di amicizie intessute in poco tempo, riuscì davvero nel suo intento e gli venne data l’opportunità di partecipare a una missione di pace con gli indiani Chavantes, chiamati "gli assassini del Mato Grosso" e considerati molto ostili ai bianchi.
Ingannò l’attesa delle settimane che precedevano questa avventura prendendo appunti per il libro che intendeva scrivere. Incontrò trafficanti di pelle, cercatori d'oro e di diamanti, descrisse le sofferenze, le speranze e le delusioni di queste persone, ossessionate dalla scoperta della grande pepita o del colossale diamante che avrebbe potuto renderli immensamente ricchi.
Alla fine la missione ebbe inizio e dopo 1.800 chilometri di fiumi, 900 di pampas e foreste, giunse in una radura nel cuore del Mato Grosso, in cui scoprì i resti di una spedizione precedente. Lo stupore venne improvvisamente interrotto dall’accoglienza ostile degli indiani, che scagliarono frecce sugli esploratori, disperdendoli in una fuga precipitosa. Il ritorno fu particolarmente doloroso. La truppa, al colmo della delusione, tornò sui propri passi soffrendo la fame e la sete.
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