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martedì 29 giugno 2021

L'Armenia, il corridoio del Caucaso

Davanti alla sagoma bassa del Selim Caravanserai, fatto costruire nel 1332 dal principe Chesar Orbelian per accogliere i viaggiatori stanchi e i loro animali mentre attraversavano la regione montuosa del Vayots Dzor, il vento spazza il parcheggio solitario. Polvere gialla e cielo terso ci accolgono al Selim Pass, a oltre 2.300 metri di altitudine dopo una lunga serie di tornanti asfaltati che si snodano come un lungo serpente sui fianchi delle montagne. In lontananza la valle e le verdi isole dei paesi.
Cosa sognavano qui i carovanieri dell'alto medioevo, che riparavano cavalli e asini nel rifugio di questo valico isolato?

Siamo quasi nel cuore geografico di un ramo dimenticato delle Vie della Seta: il Corridoio del Caucaso, la porta nord-ovest dell'immensa rete che collega il vasto Oriente con l’Europa dell’Est e del Nord. Una zona in cui per millenni popoli differenti sono entrati in contatto, influenzandosi, ma anche invadendosi l’un l’altro.
Nel puzzle degli imperi che hanno disegnato nel corso dei secoli le Vie della Seta, l'Armenia era e resta un'eccezione: qui, tra il Caspio e il Mar Nero, nonostante i monasteri della prima cristianità abbiano favorito frequenti scambi tra Asia ed Europa, l’Armenia è rimasta ancorata alla propria lingua e alla propria fede.

Nei suoi confini attuali, nati dallo smembramento dell'URSS, la continuità di questa identità culturale e religiosa ha del sorprendente: trentamila chilometri quadrati (un’area equivalente alla Bretagna) racchiudono oggi quasi quattromila chiese e monasteri, costruiti principalmente tra il XI e il XII secolo. Dall'indipendenza e dall'esilio degli azeri l'unica moschea di Yerevan, trasformata in planetario in epoca sovietica, è oggi frequentata dai musulmani iraniani.
La storia della Chiesa d'Armenia è un miracolo? In realtà, l'Armenia è semplicemente il primo stato cristiano della storia.

Khor Virap, uno dei più importanti monasteri armeni, nei pressi del confine con la Turchia.


domenica 13 giugno 2021

Van Houten: La ferrovia Transiberiana




Figurina pubblicitaria del Cacao Van Houten, dei primi del '900, che ci conduce nelle remote regioni dell'Europa orientale e dell'Asia settentrionale, attraverso la raffigurazione di un nomade dell'Amur, regione situata nell'Estremo oriente russo, e quella dell'inaugurazione della ferrovia Transiberiana.

Chatelain e i trionfi della Compagnia olandese delle Indie orientali




"Vue Et Description De Quelques-uns Des Principaux Forts Des Hollandois Dans Les Indes" del cartografo olandese Henri Abraham Chatelain (1648-1743), pubblicata nel 1719 a Parigi.Dimensioni: 36.8 x 43.2 cm.

Deliziosa incisione in cui Chatelain raffigura i sette avamposti commerciali e le fortificazioni olandesi più importanti nelle Indie orientali all'inizio del XVII secolo: quattro vedute del porto di Batavia (Giacarta), Amboina, Ternate e Solor, insieme alla raffigurazione di tre forti.

Sette illustrazioni, corredate di dettagliate descrizioni in francese, che ritraggono alcuni dei più grandi baluardi commerciali eretti grazie alla Compagnia olandese delle Indie orientali.

giovedì 10 giugno 2021

Gli "Sledging Biscuits"

Nelle spedizioni polari di Scott, Shackleton, Amundsen e di tutti gli altri grandi esploratori dell'era eroica, uno dei due capisaldi dell'alimentazione era costituito da deliziose gallette note come "Sledging Biscuits", i "biscotti da slitta", che insieme al pemmican (barrette di carne essiccata) erano considerati il carburante vero e proprio dell'esploratore.

Qui di seguito ne troverete la ricetta. A voi sbizzarrirvi su farciture e abbinamenti, sono talmente buoni e versatili da andare bene sia con il dolce che con il salato.
Buon appetito!

Ingredienti:
150 g di farina bianca
1/2 cucchiaino di bicarbonato di sodio
1/2 cucchiaino di sale
30 g di burro
acqua fredda q. b.

Amalgamare in una terrina il burro, la farina, il bicarbonato e il sale, aggiungendo acqua fino a ottenere un impasto morbido e malleabile.
Una volta raggiunta la giusta consistenza, mettere la palla di pasta su una superficie leggermente infarinata e stenderla fino a uno spessore di circa 1 cm. Ricavare quindi dei rettangoli di circa 5x7 cm. e bucherellarne la superficie con una forchetta.

A questo punto i biscotti possono essere disposti su una teglia, pronti ad iniziare il loro viaggio in forno (preriscaldato), della durata di circa 15 minuti alla temperatura di 190°C, verso la completa doratura.

domenica 6 giugno 2021

Suchard e le meraviglie della Svizzera




All'inizio del Novecento la fabbrica di cioccolato svizzero Suchard, realizzò una serie di manifesti pubblicitari che raffiguravano famosi paesaggi svizzeri. In quello che vedete in foto, datato 1908, la regale maestosità del Monte Cervino sovrasta l'abitato di Zermatt, nel Canton Vallese.

Ancora oggi questi poster vengono considerati i primi manifesti fotografici di viaggio sulla Svizzera.

mercoledì 2 giugno 2021

Venchi: il cioccolato dell'Esploratore




Cartolina pubblicitaria risalente agli anni Venti del Novecento.

Il buon cioccolato Venchi è sempre stato accanto a noi Esploratori!

mercoledì 26 maggio 2021

Figurine Liebig: animali dal mondo

Una serie di figurine Liebig dei primi del Novecento, su cui generazioni di piccoli esploratori hanno iniziato a sognare di mondi lontani ed esotiche creature.

Sei deliziose cromolitografie su carta che raffigurano:
1 - il dingo e il quoll tigre
2 - l'echidna e il diavolo della Tasmania
3 - il wombat e la tigre della Tasmania
4 - l'elefante marino e il leone marino
5 - pipistrelli della frutta in cerca (ovviamente) di frutta
6 - il topo canguro e il wallaby.

Le figurine Liebig nascono intorno alla metà del XIX secolo, quando in Francia si diffonde l’uso di reclamizzare i prodotti, regalando agli acquirenti delle piccole litografie di soggetti quantomai diversi tra loro. Una collezione che si propone come una vera e propria enciclopedia illustrata, costituita da splendide immagini accuratamente disegnate e colorate.

lunedì 10 maggio 2021

I disagi dell'esplorazione

«L'esplorazione porta con sé i più sublimi piaceri; ma ha anche delle detestabili contropartite, la maggior parte delle quali può essere riassunta nella parola bagaglio. Il problema dell'esplorazione è sollevare il bagaglio da terra; è abbastanza facile trasportare se stessi. Sebbene l'importanza dell'attrezzatura sia manifesta, la sua virtù è quella di essere il più leggera e compatta possibile, coerente con le funzioni che deve assolvere.»

Estratto dalla p. 62 del libro “The first crossing of Spitsbergen” di W. M. Conway. Londra, J.M. Dent and Company, 1897.



sabato 8 maggio 2021

Il fiore delle "Bodleians Libraries": i libri per l'infazia del Nettleship Shop

Un piccolo e delizioso libro per bambini risalente agli anni '80 dell'Ottocento, con illustrazioni di mammiferi, uccelli, insetti e pesci; un vero tesoro proveniente dagli archivi delle "Bodleians Libraries" dell'Università di Oxford, il più grande sistema bibliotecario universitario del Regno Unito.
Sotto ogni immagine, il nome dell'animale è riportato in inglese, spagnolo, portoghese, italiano e francese.

Libri per l'infanzia di questo tipo furono prodotti in gran numero durante il XIX secolo, in Inghilterra, ma sfortunatamente gli esemplari in buone condizioni sono rarissimi: questo sembra essere l'unico sopravvissuto.

Proviene dal negozio di giocattoli di Nettleship a Hull, città della contea East Riding of Yorkshire, che vendeva anche contenitori per il tè, zaini e velocipedi.

 

Il primo sbarco in Antartide

Spesso pensiamo agli esploratori, meglio ancora agli esploratori del passato, come a delle figure mitiche, uomini (perlopiù) dalla tempra d’acciaio che, lasciata la sicurezza delle proprie vite, si gettavano all’inseguimento di un ignoto tutto da decifrare; e magari pensiamo pure che i Paesi d’origine di questi esploratori tributassero loro grandi onori, una volta tornati in patria, come si fa con chi ha messo a repentaglio la propria vita per il progresso della civiltà.
Purtroppo non sempre è andata così: è il caso di Edward Bransfield, esploratore irlandese.

A lungo dimenticato dalla Storia, quella con la “S” maiuscola, Bransfield scoprì nientemeno che l'Antartide, ma per sua sfortuna lo fece in un periodo storico in cui l’Ammiragliato britannico era più interessato alla ricerca del Passaggio a Nord-Ovest che a scoprire nuove terre nel sud del sud del mondo e questo perché nel 1774 l’esploratore inglese James Cook, oltrepassato il circolo polare antartico e toccata la latitudine di 71° 10', venne respinto dai ghiacci. L’Antartide, insomma, era un luogo ostile, d’un bianco accecante, inospitale ed estremo, in altre parole di scarso valore.

Nel 1819 però la musica cambiò.
William Smith, skipper del mercantile inglese “Williams”, nel doppiare Capo Horn venne spinto a sud da venti violenti e scoprì per puro caso quelle che, in seguito, saranno chiamate Isole Shetland meridionali.
Bransfield aveva 34 anni e da quattro era stato nominato comandante della fregata “HMS Andromache” al servizio del capitano William H. Shirreff, presso la nuova stazione della Royal Navy situata a Valparaiso, in Cile. Quando la notizia della scoperta di Smith raggiunse il capitano Shirreff, questi spedì Bransfield sul mercantile “Williams” con il compito assumerne il comando ed esplorare le coste e le isole di quel territorio impervio e sconosciuto.
Da qui in poi fu tutto un navigare, mappare e dare nuovi nomi a terre fino ad allora sconosciute.
Smith e Bransfield raggiunsero l’isola di Re Giorgio (ribattezzata in onore di Giorgio III, morto il giorno prima) e ne presero possesso formale per la Corona; proseguirono poi in direzione sud-ovest, verso l’isola Deception e poi ancora a sud, lambendo Tower Island, Ohlin Island e ancora più avanti attraversando quello che oggi è conosciuto come lo stretto di Bransfield.

Il 30 gennaio 1820 il mercantile “William” fece rotta verso la penisola Trinity, il punto più settentrionale del continente antartico, ed Edward Bransfield scese a terra: come scrisse l’inglese Roland Huntford, grande biografo di esploratori polari, “Questa fu la scoperta dell'Antartide”.
Bransfield quindi ha un posto importante nella Storia, quella con la “S” maiuscola, e negli ultimi anni il Regno Unito ha riscoperto e onorato il suo nome con l’emissione di un francobollo che ne commemora le imprese e il restauro della tomba a Brighton, di cui Sheila Bransfield, pronipote di Edward, ha strenuamente sostenuto il restauro.

C’è però un colpo di scena che dobbiamo aggiungere. All'insaputa di Bransfield infatti, due giorni prima del suo sbarco sembra che l'esploratore russo Fabian Gottlieb von Bellingshausen avesse avvistato la costa ghiacciata che oggi fa parte dell'Antartide orientale, ipotesi che alcuni, tra cui lo storico polare A. G. E. Jones, affermano con certezza. Avvistato però non significa esplorato e al di là delle controversie e dei bisticci tra gli storici, è certo che Edward Bransfield, esploratore irlandese, sia stato il primo uomo ad aver calcato il lunare biancore del suolo dell’Antartide.



giovedì 29 aprile 2021

L'odissea dei fratelli Blair

Un etereo paesaggio indonesiano fotografato da Lorne Blair nel 1974 e pubblicato nel libro "Ring of fire" di Lawrence e Lorne Blair del 1988.

Nel 1973 Lawrence e Lorne Blair viaggiarono attraverso i luoghi più remoti, esotici e pericolosi della terra: le isole dell'Indonesia, quasi 14.000 tessere di mosaico sparse su oltre un milione di miglia quadrate di oceano.
Tra lussureggianti foreste tropicali e inimmaginabili bellezze naturali, i fratelli Blair speravano di catturare in un film, le parole i modi, le credenze e la saggezza delle persone primitive che vivevano lì.

La loro incredibile odissea iniziò con un viaggio di 2.500 miglia al seguito dei famigerati pirati Bugi, attraverso le Molucche alla ricerca del Grande Uccello del Paradiso (Paradisaea apoda).
Seguì un intero decennio di esplorazioni, durante il quale i fratelli dimorarono nudi nella tribù cannibale Asmat della Nuova Guinea occidentale, ricercarono misteri spirituali nel paradiso di Bali, incontrarono i draghi di Komodo (Varanus komodoensis) e la mistica tribù Toraja, uno dei gruppi etnici indonesiani dalle tradizioni più arcaiche, celebre per il curioso culto dei morti mummificati. 
Trovarono inoltre l'inafferrabile Panan Dyaks, la tribù della foresta del Borneo che si pensava non esistesse più.

venerdì 23 aprile 2021

Le grotte indonesiane della Society's expedition

Una colata calcarea blocca l'estremità della Wonder Cave a Lobang Ajaib, Indonesia (1978).


«La Society's expedition a Mulu, ha scoperto alcune delle grotte più grandi e più belle del mondo.»

Testo e immagine tratta dal libro "To the Farthest Ends of the Earth: 150 Years of World Exploration by the Royal Geographical Society" di Ian Cameron.

martedì 20 aprile 2021

Francis Mazière e la sua vita "fantastique"

"L'Océan Pacifique" (1958) di Francis Mazière, dal libro "Teïva, enfant des îles" del 1959.


Francis Mazière (1924-1994) è stato un etnologo e archeologo francese. Profondo conoscitore dell'Amazzonia e della cultura polinesiana, è ricordato per le sue pazienti esplorazioni delle isole del Pacifico tra cui l'Isola di Pasqua.

Nel 1951 organizzò una spedizione in Guyana, attraversando le montagne del Tumuc-Humac e scoprendo terre inesplorate del Brasile; dal 1963 cercò di svelare il segreto dei moaï, le misteriose statue erette sull'Isola di Pasqua, interessandosi successivamente alle culture dei popoli del Sinai, della Guyana, dell'Argentina e del Pacifico meridionale.

sabato 17 aprile 2021

Fred, l’orso anti-nucleare

Nell'aprile 2003 il sottomarino statunitense USS Connecticut, emerse attraverso il ghiaccio artico e venne attaccato da un orso polare.

Sì, avete capito bene: un orso polare.

Presso la stazione della University of Washington's Applied Physics Laboratory Ice Station (APLIS), infatti, un bell’esemplare di orso di oltre 500 libbre, esaminò con curiosità e circospezione il sottomarino a propulsione nucleare, rosicchiandone e leccandone la torretta che sporgeva dalla superficie del ghiaccio.



Questo scatto rese famoso il sottomarino, ma ancor più l’orso il quale divenne una celebrità del web e venne chiamato dai ricercatori "Fred".

In realtà il pacifico orso gironzolò attorno al sottomarino per circa quaranta minuti, per poi andarsene da dove era venuto, deluso da quello strambo spuntino così insipido e duro da masticare.



 Foto: USS Connecticut

mercoledì 7 aprile 2021

Il Salep

Nel centro di Atene, nel periodo invernale, i pittoreschi carretti dei commercianti di strada aspettano pazientemente che i clienti si avvicinino. Contengono tutto l'armamentario di cui hanno bisogno per fare il Salep, una bevanda calda, aromatica, dolce e densa tradizionalmente a base di zucchero, latte, cannella, zenzero macinato e polvere di tuberi di orchidea essiccati e polverizzati (noti appunto come "salep").


I venditori ateniesi sanno bene che, al di là della sua indiscutibile bontà, il Salep è bevuto anche perché ritenuto un potente rinvigorente sessuale. Questa è una credenza comune sin dal Medioevo, che per secoli è stata alla base del gran consumo di Salep, bevanda proveniente dalla tradizione ottomana, famosa anche in Germania e in Inghilterra prima dell'arrivo del tè e del caffè.


Oltre alla loro presunta influenza sessuale e riproduttiva, per secoli si è creduto che i tuberi di orchidea fossero anche dotati di numerosi poteri terapeutici e riparatori: si pensava che riducessero febbre, gonfiori e piaghe, curassero la tubercolosi, il raffreddore, la tosse e numerosi altri disturbi fisici e mentali, oltre a fornire forza e nutrizione.
Nei giorni dei lunghi viaggi per mare, si diceva che le navi trasportassero una grande scorta di Salep perché si credeva che un'oncia sciolta in due litri di acqua bollente fossero un sostentamento sufficiente a coprire il fabbisogno energetico di un marinaio in assenza di cibo.


[Bibliografia: Bulpitt, C.J. 2005. The Uses and Misuses of Orchids in Medicine. QJM 98(9):625–631. https://academic.oup.com/qjmed/article/98/9/625/1547881]

giovedì 1 aprile 2021

Lalibela, città della fede

Dalle viscere della terra sale una melodia ovattata, che sembra un antico coro, lento e ripetitivo, sospinto da decine di voci all'unisono. Dalla sommità del basamento rossastro in tufo vulcanico su cui otto secoli prima fu scolpito questo complesso monumentale che sfida l'immaginazione, si vedono un intrico di gallerie che scivolano in tutte le direzioni. 
Il giorno sorge appena sull'antica città monastica etiope di Lalibela, stendendo filamenti rosa oltre le montagne che, da tutte le parti, orlano l'orizzonte. Scolpita ad un'altitudine di 2.630 metri sul fianco della montagna, nel cuore dell'antica provincia di Lasta, l'attuale regione dell'Amhara, Lalibela rimane con Aksum la più santa delle città cristiane dell'Etiopia, un luogo che conserva sin dal Medioevo un incredibile insieme di chiese monolitiche.


Pochi gradini consumati dal tempo e da milioni di passi scendono in un primo recinto, poi in un portico scavato nella roccia e in un secondo recinto: in questa cornice le tuniche di lino bianco dei fedeli si sfiorano, mentre un'assemblea di sacerdoti cantori forma un cerchio per poi avanzare in una danza trattenuta, cadenzata al ritmo dei tamburi, dei bastoni da preghiera e dei sistra (sonagli). Una scena che ricorda quelle descritte nell'Antico Testamento, ma permette di comprenderne la vitalità e l'unicità del cristianesimo etiope.

Le undici chiese monolitiche, cioè scavate dall'interno, sono gemme sradicate dalla loro matrice rocciosa e formano rozze strutture dal fascino irresistibile. Sui frontoni immagini pie, colonnati o muri massicci trafitti da finestre a forma di croce o altri simboli religiosi. All'interno, soffitti a cupola, soffitti a cassettoni, affreschi colorati, santi in rilievo o scritture, scolpiti con uno scalpello. I fedeli, accovacciati o appoggiati ai muri, pregano, meditano o leggono, assorti in se stessi.

Classificato nel 1978 dall'Unesco per il suo "eccezionale valore universale", il sito soffre tuttavia di erosione naturale e le chiese spesso protette da coperture metalliche dall'estetica discutibile: solo Bet Giorgis (la Chiesa di San Giorgio) non ne ha e la si può quindi ammirare nella sua eccezionale silhouette a forma di croce greca, che la rende la chiesa più popolare di Lalibela.

La chiesa monolitica ipogea di Bet Giorgis



giovedì 18 marzo 2021

Il dolore e la rinascita: Cynthia Longfield, la "Madame Dragonfly" dell’Isola di Smeraldo

Cynthia Longfield nacque il 16 agosto 1896 a Londra da genitori anglo-irlandesi, ma trascorse gran parte della propria infanzia a Castle Mary, la casa di famiglia a Cloyne, nella contea di Cork; proprio qui sui verdi prati d’Irlanda, giocando insieme ai suoi amici, iniziò ad osservare i complessi e meravigliosi meccanismi della Natura e ad innamorarsene.
Suo nonno materno James Mason, chimico e ingegnere, e sua madre Alice incoraggiarono l'interesse di Cynthia, regalandole i primi libri di scienze e non ostacolarono l'entusiasmo verso l'avventura che la giovane dimostrava via via crescendo: un atteggiamento di straordinaria modernità per la società irlandese dell'epoca.
Nel maggio 1920 Castle Mary, l'amata casa, venne bruciata dai ribelli dell’IRA durante quel tragico periodo che verrà ricordato come Guerra d’indipendenza irlandese, combattuta dal governo britannico in Irlanda e dall’Irish Republican Army (Ira) e che si concluse nel 1921. Per il padre di Cynthia fu un durissimo colpo, un’insensata manifestazione di violenza, poiché i Longfield si consideravano a tutti gli effetti irlandesi; ma Cinzia trasformò quel momento di dolore in un'opportunità di rinascita.

Rivolse lo sguardo al mondo e iniziò a viaggiare.

Nel 1921 intraprese il suo primo viaggio all’estero, raggiungendo Brasile, Argentina, Cile, Bolivia, Perù, Panama, Giamaica e Cuba, un tour lunghissimo durante il quale sbocciò la sua passione per l'entomologia.
Il 1923 le offrì l'occasione della vita: rispondendo a un annuncio pubblicitario, incontrò Evelyn Cheeseman viaggiatrice ed entomologa allo zoo di Londra e scoprì che Evelyn aveva bisogno di una compagna nella “spedizione St. George” diretta verso l’Oceano Pacifico. Per un anno e mezzo navigarono di isola in isola, raccogliendo una grande collezione di insetti per il Natural History Museum.
Ispirata in tenera età dalla teoria dell'evoluzione di Charles Darwin e dal suo viaggio a bordo del Beagle scrisse: "Ho intrapreso la “spedizione St. George” per seguire le orme di Darwin, e ci sono arrivata!".


Al suo ritorno in Gran Bretagna, Cynthia iniziò a lavorare al Natural History Museum di Londra, riordinando la collezione; ne diventò un membro associato e, sebbene non stipendiata, continuò a lavorare quotidianamente alla sua scrivania, salvo che nei periodi all'estero, fino al pensionamento avvenuto nel 1957.
Decise di non sposarsi e di dedicare la vita intera all'entomologia. Nel suo immenso lavoro di ricercatrice ha selezionato, descritto e nominato, non solo le sue collezioni, ma gli infiniti esemplari inviati da appassionati di tutto il mondo. Pubblicava regolarmente le proprie scoperte ed era membro della Entomological Society, della Royal Geographical Society e della London Natural History Society.

Viaggiatrice vorace, compì lunghi viaggi di ricerca attraverso i Tropici, Canada, Africa orientale, Kenya, Sud Africa, Uganda e Zimbabwe. Fu costretta a tornare a Londra nel 1937 per aver contratto la malaria in Africa e allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale entrò a far parte dei vigili del fuoco ausiliari, all'inizio come autista e poi come responsabile del centralino telefonico, da cui coordinava gli interventi antincendio che avrebbero salvato Londra dalle fiamme.
Non smise mai di viaggiare, né di studiare entomologia. Due specie di libellule sono state nominate in suo onore: Corphaeschnalongfieldae (Brasile) e Agrionopter insignis cynthiae (Isole Tanimbar).

Nel 1937, Longfield pubblicò il suo libro "Le libellule delle isole britanniche". Il libro andò rapidamente esaurito e Longfield da quel momento in poi venne soprannominata "Madame Dragonfly".


Cynthia Longfield in un'illustrazione di Szabolcs Kariko


martedì 16 marzo 2021

A lezione dagli esploratori: affrontare l'isolamento

Buongiorno Esploratrici ed Esploratori. In questi giorni di emergenza da Coronavirus, una delle sfide più difficili è riuscire a gestire l’isolamento forzato, necessario a limitare la diffusione dei contagi.
Ma l'isolamento può renderci persone migliori?
Scopriamolo attraverso l'esperienza di chi dell'arte dell'avventura ha fatto la propria vita.

L'esploratore Benjamin Pothier ha visitato alcuni degli ambienti più estremi della Terra e ha trascorso mesi in isolamento. Ecco il suo decalogo sui modi più efficaci per sopravvivere a tale circostanza.

1 - FESTEGGIA OGGI, QUINDI PIANIFICA IL DOMANI
Ove possibile, pianifica le tue attività per il giorno successivo ogni sera. Ma prima di farlo, prenditi due minuti per sederti, respira lentamente e fai un elenco mentale delle cose positive che hai realizzato oggi, anche cose molto semplici come mandare una mail a un amico, o pulire le finestre di casa.

2 - SCRIVI QUELLO CHE VUOI OTTENERE
Dopo aver fissato i tuoi obiettivi per il giorno successivo e per la settimana o il mese a venire, scrivi degli elenchi di cose da fare. Gioisci ogni volta che spunterai la casella di fronte all'attività che hai portato a termine.

3 - PRENDI NOTA DI CIÒ DI CUI HAI BISOGNO
Accanto alla lista delle cose da fare inserisci il tuo inventario, uno spazio in cui annotare ciò di cui devi fare scorta: medicine, cibo, prodotti per la casa ecc. Prenditi del tempo per rimuovere i prodotti scaduti e pulire i tuoi scaffali, per essere consapevole delle tue risorse e pianificare di conseguenza.

4 - LA CASA ORDINATA È UGUALE ALLA MENTE ORDINATA
La casa è il tuo habitat. Che si tratti del tuo piccolo appartamento, o di una casa con giardino, mantieni in ordine il tuo spazio vitale ogni giorno, fai qualche extra nel fine settimana. L’autoisolamento non è un vincolo. Cerca di fare del tuo meglio per rendere la tua casa un posto migliore per te e la tua famiglia.

5 - TROVA DEI MODI PER MANTENERE LA TUA SALUTE FISICA E MENTALE
Rimani impegnato e attivo, sia mentalmente che fisicamente.

6 - SII REALE QUANDO STABILISCI GLI OBIETTIVI
Anche se è molto importante rimanere attivi, fare esercizi fisici e pulire il tuo spazio vitale, non fissare obiettivi irrealistici. Non sforzarti troppo, acclimatati prima alla nuova situazione. Prenditi del tempo per rilassarti, respirare e liberare la mente ogni giorno.

7 - NON PERDERE IL CONTATTO CON LE PERSONE...
Prenditi del tempo per entrare in contatto con amici, familiari e colleghi: sostenetevi a vicenda.

8 - ... MA TROVA TEMPO ANCHE PER TE STESSO
Non hai bisogno di diventare improvvisamente un maestro di meditazione, ma ricorda di prenderti qualche minuto ogni giorno solo per te stesso, senza schermi. Chiudi gli occhi o guarda qualcosa che ti piace - potrebbe essere un dipinto su un muro o una pianta domestica - e concentrati solo sul tuo respiro profondo.

9 - NON RENDERE LE COSE PIÙ DIFFICILI
Questo è autoisolamento, non una condanna all'ergastolo. Mantieniti attivo, impegnato e rilassato, ma non contare i giorni.

10 - DIVERTITI CON ALCUNI TRUCCHI VECCHI O NUOVI
Forse hai già una passione che puoi soddisfare in casa. In caso contrario questo può essere un ottimo momento per imparare nuove cose creative.

venerdì 5 marzo 2021

Eravamo giovani quando ci siamo dedicati alla scoperta...

"Eravamo giovani quando ci siamo dedicati alla scoperta, alla esplorazione. Quando quello che ci interessava era scendere più profondo e vivere sul fondo del mare, recuperare i resti di una grande galera romana, affrontare gli squali, terrificanti e misteriosi mostri marini. E la gioventù è grintosa, entusiasta, totale, egocentrica, estremista, spericolata. Eravamo giovani e pensavamo a noi stessi, alla realizzazione dei nostri sogni. Poi siamo diventati adulti. Dunque più altruisti, più riflessivi. 
Allora l'interesse maggiore è diventato quello di raccontare le nostre esperienze, di coinvolgere gli altri nella nostra avventura. Lo scopo della vita è divenuto quello di infiammare gli animi, di accendere gli entusiasmi. Ci siamo resi conto che un uomo da solo non è nulla, se non si rapporta a quelli che lo circondano. 
Attraverso le immagini, attraverso i racconti, le esperienze vissute cambiavano forma, acquistavano spessore. Solo attraverso la divulgazione, la crescita dei singoli poteva diventare la crescita dell'intera umanità. Solo così il patrimonio di ognuno poteva entrare a far parte della cultura di tutti. Oggi abbiamo percorso il mondo in lungo e largo, ne abbiamo svelato e raccontato i segreti. Ora bisogna impegnarsi per conservare tutto questo. 
Ora si deve far sì che le immagini dei film, le storie dei libri non rimangano fine a se stesse. Bisogna lottare perché tutti abbiano diritto ad una vita felice in un pianeta ancora integro. "


- Jacques Yves Cousteau