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giovedì 23 luglio 2020

Il rituale del raccolto nella valle dei nomadi

In una remota valle dell'Himalaya indiano, una volta ogni tre anni, la fine del raccolto porta con sé insolite processioni e canti notturni: è il Bono Na, un rituale che si tiene alternativamente nel villaggi di Garkon e Dha, per suggellare l'unione tra gli spiriti della montagna e i Brokpà, una piccola comunità di Dardi che vive nel Ladakh dai tempi delle grandi migrazioni indoeuropee, nell'età del bronzo. I Dardi sono un'etnia appartenente a un gruppo linguistico di ceppo indo-europeo, o per meglio dire indo-ariano, che prima di conquistare l'India settentrionale viveva in Asia centrale; naturalmente il termine ariano non va confuso con nulla che riguardi la teoria nazista sulla superiorità della razza ai fini della propaganda razzista!
Sembra sia stato lo storico greco Erodoto dare a questo gruppo sociale il nome di Dardi, localizzandone il territorio in un’area corrispondente all'odierno Afghanistan nord-orientale.
Nella valle di Dah-hanu, a circa 24 chilometri a nord di Kargil presso la strada militare indiana, esiste l'unica colonia di Dardi autentici, costituita da una popolazione di circa settecento individui. I Brokpà, termine tibetano che significa nomadi, vivono una vita autonoma ed indipendente, un’autarchia basata sui frutti offerti dalla terra di queste valli relativamente basse di quota e dal clima favorevole.

Il Bono Na è quindi un piccolo evento per quanto riguarda il Ladakh, l'Himalaya o l'India intera, ma unico e antico, ereditato dall'alba dei tempi.


Inerpicandosi su uno stretto e ripido sentiero, zigzagando tra alberi di albicocche e grotte rupestri, si arriva a una serie di case allineate sotto una scarpata rocciosa. Ai piedi di questo insediamento si stendono degli appezzamenti coltivati, dove orti, frutteti, colture di cereali e fiori formano un’unica gamma di colori e profumi, tra la geometria variabile dei muri a secco e la sinfonia pastorale di rivoli abilmente canalizzati.

Nel pomeriggio, gli anziani si radunano attorno a un fuoco di ginepro e chiamano con il loro canto "lha", il misterioso intermediario tra gli Dei e gli uomini scelti a turno dagli abitanti del villaggio. Chissà se gli Dei i accetteranno l'invito? Le donne guardano lontano, dalle terrazze sui tetti; c’è chi porta porta pezzi di una capra sacrificati il ​​giorno prima, che gli uomini riuniti condividono ritualmente, compresi i musicisti che si sistemano e iniziano a suonare le melodie tradizionali. Quando scende la notte il grande fuoco getta ombre danzanti tutt'intorno e a turno donne e uomini intonano antichi canti. Gli uomini recitano l’epopea epica della loro gente, le donne eseguono canzoni audaci e a poco a poco i danzatori si avvicinano, sfiorandosi l'un l'altra, quasi incontrandosi all'unisono nello stesso lamento. In passato ogni ballerina poteva abbracciare, baciare, sedurre liberamente il suo partner o persino scivolare via discretamente nel buio, per la notte o per la vita. Un atteggiamento impensabile oggi, ritenuto un parossismo pagano oggi, in un momento in cui questa antica civiltà è minacciata da tutti i versanti.

Sebbene ufficialmente buddisti, i Dardi della valle dell'Indo, seguono un loro sistema di credenze ancestrali, un mix di costumi animistici e riti sciamanici, che ruotano attorno al culto degli antenati e all'adorazione della natura. Rispettosi verso gli animali domestici a tal punto da non bere latte vaccino e non usare lo sterco di mucca come combustibile, cercano di evitare ogni contatto stretto con questi animali. Per contro riveriscono la capra come simbolo di fertilità e prosperità, ritenendola un'eccellente offerta da sacrificare sugli altari delle loro divinità.
Protetti dall'inaccessibilità della loro valle, essi hanno conservato la propria identità culturale: un microcosmo di umanità e tradizioni rimasto intatto dai tempi del loro arrivo.

mercoledì 22 luglio 2020

Il comunismo religioso del villaggio di Soatanana

Come un esercito di angeli delle campagne, tutti senza eccezione, scendono in processione lungo la strada principale del villaggio di Soatanana. In ordine e in silenzio. Uomini, donne e bambini mescolati insieme vestiti con una lunga toga bianca, camminano svelti come se li pungolasse il diavolo stesso. Come ogni domenica, non un devoto perde la chiamata: guidati dall'eco della campana della domenica, questa schiera di vesti bianche arriva, a un certo punto, a una vasta piazza di terra battuta, dominata da un enorme tempio in cui tutti ordinatamente entrano. Ritto sulla porta, un pastore guarda il proprio gregge, incoraggia i bambini, scherza con un gruppo di donne, rimprovera un ritardatario.


A quaranta chilometri a ovest della città di Fianarantsoa, ​​nel cuore delle Alte Terre del Madagascar, il villaggio di Soatanana costituisce il centro storico dei "Discepoli del Signore", in malgascio Mpianatry ny Tompo , un movimento protestante fondamentalista i cui praticanti hanno la particolarità di essere invariabilmente vestiti di bianco. Isolato nel cuore dell'isola nel paese di Betsileo, il piccolo villaggio originariamente fu soprannominato dal suo fondatore La nuova Gerusalemme
A prima vista, sembra un paese come tutti gli altri, tuttavia, dietro questa apparente banalità, si nasconde un'organizzazione sociale estremamente singolare che potrebbe essere definita ironicamente come un comunismo religioso. La società Soatanana, spiega la sociologa Lucile Jacquier-Dubourdieu, si basa su un'economia collettiva molto strutturata, in cui tutte le risorse finanziarie sono centralizzate dal consiglio degli anziani, che gestisce i fondi a beneficio di tutti. La comunità ha quindi un proprio taxi-brousse, i "taxi della savana" che fanno la spola tra città limitrofe, una sua scuola superiore privata e un suo dispensario, nonché un sistema di assistenza per malati e anziani.

Considerata da alcuni come una setta a causa della sua organizzazione autarchica e del suo radicalismo, la comunità aspira unicamente a una vita semplice nel rispetto dei grandi precetti biblici: amore per il prossimo, umiltà, accoglienza, carità, pentimento.
Siamo di fronte a una piccola società modello? a una sorta di paradiso terrestre? Non proprio. 
Purtroppo non è una terra di beatitudine e felicità, poiché come ovunque in Madagascar gli abitanti di Soatanana vivono in povertà e miseria. A ciò si aggiunge che la vita del piccolo villaggio è divisa in due: luterani e cattolici si confondono nella parte meridionale del villaggio, mentre i discepoli sono raggruppati a nord.

Tutti i seguaci di Rainisoalambo, primo presidente dei Discepoli e fondatore di Soatanana, devono indossare questo lungo abito, l'akanjo didimananjara, accompagnato da uno scialle d'avorio, il lamba fitafy e un cappello di paglia, il satroka. Indossano la veste del Paradiso in terra, la veste degli angeli, si battono per un ideale che l'umanità forse non potrà mai raggiungere, ma sopportano questo peso in nome della presenza del divino nei loro cuori.
Verso mezzogiorno, alla fine della cerimonia religiosa, gli angeli se ne vanno come sono venuti: in processione, in ordine e in silenzio, come un microcosmo in movimento sospeso tra Cielo e Terra.

martedì 21 luglio 2020

Il pioppo, l'albero che sussurra al vento

Nella Pianura Padana, un tempo, quando nasceva una bambina si usavano piantare in suo onore mille piccoli alberi di pioppo: al compimento della maggiore età il ricavato del taglio degli alberi avrebbe costituito la dote della ragazza. Una storia che sembra l’inizio di una leggenda, eppure il pioppo, che nei viali delle nostre città viene impiegato come pianta ornamentale, ha avuto da sempre una valenza molto profonda per l’umanità.


Alla minima brezza le chiome di questi alberi stormiscono, levando un brusio che ricorda quello di una folla, per questa ragione i romani chiamarono il pioppo populus, probabilmente da Arbor populi ovvero "albero del popolo", un'ipotesi etimologica tanto affascinante quanto incerta.
I celti lo consideravano un albero oracolare, intermediario sonoro tra il mondo degli uomini e il Sidhe, il popolo fatato dell'oltretomba irlandese; per la tribù di nativi americani Lakota lo stormire delle foglie del pioppo (wa’ga čan) sono le preghiere che l’albero invia alla divinità, e il suo fusto rappresenta l'Albero Sacro (čan wakan), l’elemento più importante della Capanna della Danza del Sole.

A questo punto gli appassionati di fumetti ricorderanno che fu Cavallo Zoppo, sciamano Lakota della tribù di Coda di Toro, a dare inizio alla saga dell'eroe bonelliano Magico Vento. Il pioppo Waga Chun, l'albero sussurrante, lo aveva messo sulle tracce di Ned Ellis, dicendogli:

"cerca colui che è stato dimenticato, il vento ti dirà come raggiungerlo".

Su una tavoletta di pioppo un certo Leonardo da Vinci dipinse uno dei suoi capolavori più conosciuti, la "Gioconda", e prima di lui molti artisti italiani del Medioevo consolidarono un sodalizio artistico con il pioppo, il tiglio e il cipresso dando vita a meravigliose pitture su tavola, pale da altare e polittici che avrebbero ornato chiese e palazzi nobiliari.
A dirla tutta il legno di pioppo, data la sua grande reperibilità e il suo basso costo, viene impiegato oggi per la fabbricazione di pannelli di compensato, cassette da imballaggio, carta, stecchi per gelati e fiammiferi, ma vanta anche altre caratteristiche interessanti come quella di riuscire a prelevare dall'atmosfera 70-140 litri di anidride carbonica all'ora per cederne altrettanti di ossigeno e recenti studi lo indicano anche come una pianta capace di depurare le acque da sostanze inquinanti.
Un albero che è sinonimo di tutela ambientale, di miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, che incrementa proprio per questo la biodiversità degli habitat naturali e rappresenta una fonte rinnovabile di energia.

mercoledì 8 luglio 2020

Nanortalik: il "luogo degli orsi polari"

Nanortalik è la decima città più grande della Groenlandia e la più meridionale dell'isola,
Questo abitato è circondato da un intricato sistema di fiordi profondi, piccoli boschi, praterie, aspre scogliere di montagna, che suggeriscono una natura molto simile a quella visibile lungo la costa orientale della Groenlandia, e lambito da un'immensa distesa di ghiaccio marino in continuo movimento appena fuori dal porto. Qui vivono circa 2.200 persone (in Groenlandia infatti una città è considerata tale quando conta più di 1000 abitanti) che trovano impiego nelle principali attività locali: la caccia alle foche, la pesca, il servizio turistico e l'amministrazione locale.
Si arriva a Nanortalik prendendo l'elicottero dal vicino villaggio di Narsarsuaq e dopo un lento ed emozionante sorvolo sui fiordi si viene ricevuti da un'atmosfera accogliente e amichevole. Come dicono i groenlandesi "Quando si raggiunge Nanortalik, è come tornare nella casa della propria infanzia" e se si va a Nanortalik per esplorarne le montagne selvagge "si ritroverà la città natale che non si sapeva di avere".
Un posto silenzioso e freddo, ma circondato da una Natura potente che lo sguardo abbraccia da est, dove si ergono numerose catene di picchi talmente aguzzi che sembrano bucare il cielo, a ovest dove galleggiano enormi strati di ghiaccio marino popolati da selvatici artici.
Questo piccolo centro dove le case dai colori vivaci fiancheggiano le strade, immense vette montuose si innalzano in lontananza e iceberg galleggiano nella baia, trae il proprio nome dall'orso bianco. Nanortalik infatti significa "luogo degli orsi polari", a testimonianza di quanto questa remota parte di territorio danese situato tra l’oceano Atlantico del Nord e il Mar Glaciale Artico, sia da sempre frequentata dai grandi plantigradi bianchi, che a buon diritto sono rappresentati sullo stemma cittadino.

Il bianco candido del ghiaccio, però, non è l'unico colore presente in città: tutti i colori dell'arcobaleno sono scesi su Nanortalik, perché i locali nel tempo hanno dipinto le loro case in verde lime, magenta, arancio brillante, azzurro e lavanda. In origine, questo stile vivace aveva un uso pratico e indicava la funzione di un edificio: gli edifici commerciali erano rossi, gli ospedali gialli, le stazioni di polizia nere, la compagnia telefonica verde e le fabbriche di pesce blu.


Nanortalik si trova alla foce del Fiordo Tasermiut lungo circa 75 chilometri, un fiordo la cui naturale bellezza è capace di attirare scalatori, kayakisti ed escursionisti da tutto il mondo, attratti dalle imponenti e spettacolari pareti verticali che formano la cosiddetta “Patagonia Artica” indicata come una delle dieci meraviglie del mondo nelle guide Lonely Planet.
Altra piccola e inaspettata meraviglia è il Museo Nanortalik, esposizione a cielo aperto ospitata nell'area portuale, che rende omaggio all'era delle esplorazioni polari e alla cultura norrena. Antiche case coloniali divengono scrigno di un tesoro composto da copie di abiti vichinghi in stile Herjolfsnæs, da una collezione di kayak e umiak risalenti al 1440 (scoperti nel 1948 dall'esploratore Eigil Knuth e tra i più antichi trovati in Groenlandia) e da riproduzioni di tende e di case della civiltà Inuit.