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giovedì 6 agosto 2020

Gustav Holm e la scoperta della Groenlandia orientale

Il 6 agosto 1849 nacque a Copenhagen l'esploratore danese Gustav Frederik Holm.
Seguendo le orme di suo padre e suo nonno, entrambi ufficiali, entrò nella Marina Reale danese come sottotenente nel 1870, e dopo una brillante carriera fu nominato direttore del Royal Pilotage Service nel 1912, un incarico di responsabilità che ricoprì con grande successo durante la prima guerra mondiale e fino a quando non si ritirò definitivamente dal servizio, nel 1919.

I più grandi successi Holm, tuttavia, li ebbe in qualità di esploratore artico ed è così che comincia la storia che vogliamo raccontarvi.

Nella seconda metà del XIX secolo, nacque l'idea di avviare una sistematica indagine geologica e geografica della Groenlandia: l'autore di questa proposta era Frederik Johnstrup, professore di mineralogia all'Università di Copenaghen, che nel 1875 presentò un piano dettagliato al governo, il quale tre anni dopo nominò una Commissione per la direzione geologica e geografica le investigazioni in Groenlandia.
Nel 1876 Holm prese parte alla prima di una lunga serie di spedizioni nella Groenlandia occidentale come addetto al rilevamento, sotto la guida di Knud J. V. Steenstrup: le ricerche portarono alla mappatura di circa 4.000 chilometri quadrati nel distretto di Julianehåb, in cui vennero raccolte un numero considerevole di antichità e di piante
La sua conoscenza della costa orientale, la sua familiarità con i nativi della Groenlandia e con le loro tecniche di viaggio, spinsero Holm a condurre una spedizione in quelle regioni per rintracciare possibili tracce dell'occupazione norrena sulla costa orientale. 
Nel 1883 partì quindi con l’intento di seguire le acque costiere libere dal ghiaccio per mezzo di umiak, agili imbarcazioni Inuit ricoperte di pelle, ed esplorare la costa orientale, da Cape Farewell verso nord. Il suo secondo in comando era il tenente V. Garde della Royal Danish Navy, e lo staff scientifico era composto dal botanico P. Eberlin, dal mineralogista norvegese Hans Knutsen e da un gruppo di nativi, profondi conoscitori della lingua locale e delle tecniche di navigazione.

I membri danesi della spedizione lasciarono Copenaghen nel maggio 1883 e dopo un lungo viaggio proseguirono verso il piccolo avamposto groenlandese di Nanortalik per svernare, portare avanti osservazioni meteorologiche e prepararsi per il grande viaggio che avrebbe avuto luogo l'estate successiva.
Il 5 maggio tutto era pronto e la spedizione, che consisteva in trentasette persone, a bordo di quattro umiak e alcuni kayak di accompagnamento, si mise in viaggio verso la costa orientale. Di qui in avanti la morsa del pack fermò a più riprese il loro andare, finché nei pressi del ghiacciaio Puissortoq, considerato uno dei luoghi più pericolosi in quella parte della costa, metà dell'equipaggio dichiarò apertamente la propria riluttanza ad andare oltre. Holm fu così costretto a rimandarli indietro con uno degli umiak. Le barche rimaste si misero nuovamente in viaggio e dopo essersi divise, poiché parte della spedizione aveva il compito di indagare i fiordi meridionali, arrivarono sull'isola di Dannebrog raggiungendo, l'ultimo giorno di agosto, il tanto atteso obiettivo: Angmagssalik, a circa 800 chilometri da Cape Farewell.

Holm da eccellente osservatore, scrisse un brillante resoconto della vita indigena prima di tornare indietro e ricongiungersi con Garde sulla costa occidentale. 
I risultati della spedizione furono numerosi sia dal punto di vista geografico che etnologico: l’opera di Holm è uno dei primi primi resoconti moderni e scientifici sugli eschimesi, un testo fondamentale per la ricerca etnologica.



La spedizione ad Angmagssalik fu l'ultimo viaggio scientifico di Holm verso la Groenlandia, la terra verde, tuttavia quando il governo danese decise di istituire una missione e una stazione commerciale proprio ad Angmagssalik, il compito fu affidato a Holm che così nel 1894 visitò il luogo per la seconda volta. Nel periodo tra il 1884 e il 1894, infatti, la popolazione della Groenlandia orientale era drasticamente diminuita da 413 a 243 unità: per impedirne il totale spopolamento e per mantenere la sovranità danese in quel territorio lo stabilimento era di vitale importanza.
Nel 1896 Holm fu nominato membro della Commissione per la direzione delle inchieste geologiche e geografiche in Groenlandia e negli anni successivi si occupò anche di studi di storia geografica, in particolare di argomenti riguardanti l’esatta ubicazione del territorio del Vinland, scoperto da Leif Eriksson.

Gustav Frederik Holm fu un personaggio molto umile, schivo, che evitò con ostinazione di recitare un ruolo nella vita pubblica. Tuttavia, i suoi contributi alla scienza geografica ed etnologica non furono dimenticati. Nel 1890 ricevette la medaglia della Roquette della Geographical Society di Parigi e nel 1895 gli fu conferita la medaglia d'oro della Royal Danish Geographical Society. Nel 1923 fu nominato membro onorario della Greenland Society di Copenaghen e quando l'università di Copenaghen celebrò il suo 450esimo anniversario nel 1929, fu proclamato Dottore in Filosofia honoris causa.

Morì a Copenhagen il 13 marzo del 1940.

martedì 4 agosto 2020

Le Parole dell'Avventura: UMIAK

La storia dell'esplorazione artica non sarebbe stata la stessa, se gli uomini che a più riprese si avventurarono fino ai limiti del mondo conosciuto, non avessero utilizzato le stesse imbarcazioni che i popoli nordici inventarono per vincere la resistenza dei ghiacci. 

L'umiak è una tipologia di barca antichissima, risalente ai tempi dei Thule, i progenitori dei moderni Inuit canadesi (1000-1600 d.C), tipica dell'Artico centrale della Groenlandia, dell'Isola di Baffin, dei territori del Labrador, dell'Alaska e della Siberia orientale.
Fino a tempi recenti, l'umiak, che significa imbarcazione, in pelle, aperta in lingua Inuktitut, è stata il principale mezzo di trasporto estivo per gli Inuit che abitavano sulle coste, utilizzato per lo spostamento delle famiglie nelle zone di caccia stagionali e per le battute di caccia alla balena.
Poteva contenere più di venti persone e trasportare diverse tonnellate di merci; era lunga da sei ai dieci metri e larga, nella parte centrale, più di un metro e mezzo. Il telaio era costruito in legno, o utilizzando ossa di balena, e nascondeva ancoraggi fatti in corno o legno che tenevano insieme la barca. Sul telaio venivano distese pelli di foca barbata (Erignathus barbatus) o di tricheco (Odobenus rosmarus) le quali, cucite insieme e allungate asciugavano attorno al telaio, fasciandolo strettamente.
Il fondo era piatto, senza chiglia, ed entrambe le estremità erano normalmente appuntite. L'umiak era anche usato nell'Artico orientale, ma quasi esclusivamente come mezzo di trasporto. Era infatti la barca di famiglia, la cosiddetta barca delle donne, a bordo di cui venivano affrontati i lunghi viaggi estivi, proprio perché la si riteneva una barca agile, ma in grado di caricare armi e provviste, bambini, cani, tende e vestiti.
Il sistema di navigazione era piuttosto semplice: un anziano seduto a poppa controllava il timone, mentre le donne, imbracciando le pagaie, remavano e scandivano la vogata a suon di canzoni tradizionali. Quando il vento lo permetteva si preferiva navigare a vela, montandone una sull'albero posto a prua. 
Gli uomini seguivano la rotta dell'umiak pagaiando in parallelo sui loro kayak, e all'arrivo si rovesciava l'umiak sulla spiaggia, utilizzandolo come rifugio temporaneo.

Un gruppo di Copper Inuit o Kitlinermiut a bordo di un umiak a Port Epworth

Gli umiak al giorno d'oggi vengono usati raramente, poiché sostituiti da imbarcazioni a motore che ne ricordano la forma e il design tradizionali. 

domenica 2 agosto 2020

Le gelosie della ninfa e le benedizioni di Maria: storia della menta, l'erba santa

In Abruzzo quando due innamorati fanno giuramento d'amore si scambiano mazzolini di menta, recitando queste parole:
"Ecco la menta, se si ama di cuore non rallenta".
E pensare che questa pianta graziosa e profumatissima deve il proprio nome non a una lieta storia di innamorati, ma alla terribile vicenda di gelosia e morte in cui fu coinvolta una ninfa, di cui i nostri antenati greci raccontavano le dolorose gesta secoli e secoli fa.
Si dice che un tempo vi fu una ninfa di nome Mintha, figlia del dio Cocito, creatura di bellezza straordinaria e divinità dei fiumi inferi. Si dice anche che fosse l'amante di Ade, sovrano del regno sotterraneo, e che quando questi rapì Persefone per farne la sposa legittima, Mintha iniziò a fare delle tremende scenate di gelosia, arrivando a minacciare la rivale e a sostenere di esser, tra le due, la più bella. Quando però, al colmo della rabbia, aggiunse che una volta riconquistato l'amante, avrebbe scacciato l'antagonista dal palazzo reale, Persefone e sua madre Demetra decisero di farla tacere. 
Per sempre.
La presero, la smembrarono e la schiacciarono in terra; solo Ade ebbe pietà di lei e la trasformò in una pianta profumata chiamata minthe, resistente ad ogni avversità e quindi capace di crescere rigogliosa persino in inverno e di fiorire anche da recisa.
Alla menta, infatti, fanno riferimento i motti araldici, Recisa floret, tagliata fiorisce, e Hieme floret, fiorisce d'inverno, a simboleggiare la Virtù che, perseguitata, risorge sempre.



La menta è un'erba officinale, usata sin dai tempi più remoti in virtù delle sue proprietà digestive e antisettiche: viene citata nel papiro di Ebers, testo di medicina databile alla XVIII dinastia egizia, che la annotava fra le erbe più preziose, sacra ad Iside e al dio della medicina Thot. Nell'arcipelago toscano il decotto delle foglie è ancora usato come collutorio in caso di infiammazioni della bocca e della gola mentre in Cina, anticamente, era preferita in virtù delle sue proprietà calmanti. 
In cucina le foglie e i fiori ben si prestano a essere impiegati per aromatizzare insalate crude, salse, bevande, una caratteristica che la rendeva cara anche all'imperatore Carlo Magno, il quale emise editti per contenerne lo spreco e tutelarne la specie.

La monaca benedettina e teologa tedesca Santa Ildegarda di Bingen raccomandava la menta acquatica:
"La menta d'acqua è calda ma al contempo leggermente fredda. Se ne può mangiare moderatamente: non apporta all'uomo particolari benefici ma non fa male. Chi dal tanto mangiare e bere ha uno stomaco/intestino appesantito e si sente soffocare, mangi menta d'acqua cruda o cotta con carne, nella minestra oppure nel passato di verdure e la pesantezza cesserà..."
e ancora
“Chi è colpito da un problema polmonare, ha il fiato corto e deve tossire spesso per espettorare al minimo movimento e chi invece mangia e beve troppo al punto da far fatica a respirare e non riuscire ad espellere il flegma, usi la menta d'acqua come sopra descritto.“



Gli antichi Romani usavano grandi quantità di menta per aromatizzare l'acqua del bagno, mentre secondo l'antico testamento quest'erba veniva usata per profumare le mense. Lo stesso poeta romano Ovidio racconta come anche nelle umili case contadine, si strofinasse con foglie di menta il tavolo della cucina prima di servire il pranzo per gli ospiti, un gesto cortese sopravvissuto nelle campagne fino a tempi recenti.

La menta era detta in latino medioevale Herba sanctae Mariae e in francese Menthe de notre Dame. Un legame con la Madonna nato da una leggenda medioevale in cui si raccontava che la Sacra Famiglia in fuga verso l'Egitto incontrò per la via proprio una piantina di menta. La Madonna, annusatone il gradevole profumo, sospirò: "se ci potesse anche dissetare!". In quell'istante dalle piccole foglie della pianta, iniziarono a scendere delle goccioline d'acqua ristoratrice e Maria si rivolse con gratitudine alla menta, dicendo "tu sarai chiamata per sempre l'erba santa". 
Ancora oggi le contadine anziane nelle campagne dell'Abruzzo, memori della sacralità di questa erba, usano sfregare foglioline di mentuccia fra le mani, per richiamare la benevolenza del Signore il giorno della morte, recitando: "Chi scontra la mentuccia e non l'addora, non vede Gesù quando muore".

Profumata e salutare, apprezzata da sempre per le sue mille e mille caratteristiche, la menta merita davvero un posto speciale tra le piantine del nostro balcone, poiché pur apparendo delicata, ha in sé la straordinaria capacità di svilupparsi e fiorire anche in situazioni avverse: Dum cetera languent, si direbbe in latino, per indicare la virtù solitaria che, nonostante tutto intorno si consumi, cresce salda e forte.

domenica 26 luglio 2020

La saga di Guðríðr

Che cosa hanno in comune il piccolo villaggio di Laugarbrekka nella contea di Breidavik, il vicino abitato di Glaumbær in Islanda e la capitale federale del Canada, Ottawa?
Una statua
Laugarbrekka infatti, piccolo villaggio nella penisola di Snæfellsnes, accoglie una delle tre piccole copie dell'opera d'arte realizzata in occasione della Fiera mondiale di New York nel 1938 da uno dei più noti scultori islandesi, Ásmundur Sveinsson.
Una statua intitolata "Fyrsta hvíta móðirin í Ameríku", La prima madre europea in America, che raffigura una donna in piedi al centro di un'imbarcazione vichinga, con la mano sinistra stretta al sommo della prua e la destra attorno a quella del bimbo assiso sulla sua spalla. Nel 2000 il presidente islandese Ólafur Ragnar Grímsson la inaugurò per celebrare la vita e le imprese di due tra i più grandi esploratori della cultura islandese: Guðríðr Þorbjarnardóttir e suo figlio Snorri Þorfinnsson.

La statua di Guðríðr Þorbjarnardóttir e Snorri Þorfinnsson a Laugarbrekka, in Islanda

Guðríðr Þorbjarnardóttir (Gudrid Thorbjarnardóttir) nacque nella fattoria di Laugarbrekka in Islanda nel 980 d. C.. Le saghe narrano che, giovanissima, si innamorò del figlio di uno schiavo, e che il padre, un proprietario terriero di nome Thorbjörn Vifilsson, non volle saperne di concederla in sposa a un individuo di ceto inferiore. Le fonti letterarie ci dicono che andò in sposa a un certo Thorir e che si mise in viaggio con tutta la famiglia verso la Groenlandia, per raggiungere la colonia fondata dal famoso esploratore norreno Erik il Rosso.
E’ vero, può sembrare strano che si vada a cercare miglior fortuna in una terra che ai nostri occhi appare come un’enorme e inospitale distesa di ghiaccio, ma dobbiamo considerare che intorno all'anno 1000 la Groenlandia era una grande isola verde e rigogliosa, a tal punto che i danesi l’avevano battezzata Grønland, che significa proprio “Terra verde".
I norreni, cioè i popoli originari della Scandinavia, della Danimarca e della Germania settentrionale, erano formidabili navigatori, ma le loro “navi lunghe” i drekar (o secondo una forma più comune drakkar) non erano adeguate ad affrontare le tempeste oceaniche; fu così che durante il viaggio l'imbarcazione del marito di Gudrid affondò e lei rimase vedova.
Si dice che fosse di modi gentili e di bell’aspetto e che Thorsteinn, figlio dello stesso Erik il Rosso, la chiese subito in moglie. 
La colonia groenlandese ebbe appena il tempo di stabilizzarsi, quando Leif l’altro figlio di Erik che si era spinto ancora più a Occidente sbarcando nell'attuale Canada, chiamò la famiglia e venne raggiunto, insieme agli altri, da Gudrid e Thorsteinn. Leif aveva scoperto una terra dal clima così mite e favorevole in cui cresceva la vite selvatica: questa nuova terra venne immediatamente ribattezzata Vinland, ossia terra del vino.

La saga nordica islandese conosciuta come la Saga dei Groenlandesi, una delle due principali fonti letterarie che narrano la colonizzazione vichinga dell'America insieme alla Eiríks saga rauða o Saga di Erik il Rosso, racconta che la colonia di Gudrid venne sopraffatta da gruppi di nativi americani, i quali distrussero l’insediamento e fecero strage degli abitanti.
Non restava altro da fare che tornare sui propri passi, ma il viaggio di ritorno fu terribile: in molti morirono in mare e Gudrid rimase vedova per la seconda volta.

Tornata in Groenlandia si stabilì a Brattahlid, dove venne notata da un ricco mercante, Thorfinn Karlsefni, che la chiese in sposa e con cui, dopo qualche tempo, organizzò una nuova spedizione verso il Vinland.
Tre navi vennero armate e imbarcarono decine di persone con cui ridare vita al vecchio insediamento distrutto, che in poco tempo venne rimesso in piedi e in cui verso il 1004 nacque Snorri, figlio di Gudrid e Thorfinn, il primo europeo a nascere nel Nuovo Mondo.
Anche questa volta la tranquillità venne interrotta dagli incidenti coi nativi, che costrinse la colonia di Gudrid ad abbandonare ancora il Vinland; si spinsero quindi più a sud e c’è chi dice che siano giunti fino alla zona dell'attuale Manhattan, finché le ripetute ostilità non li obbligò a riprendere il mare per stabilirsi in Groenlandia, dove Thorfinn mise in piedi una fattoria. 

Dopo la morte di Thorfinn, ucciso dagli skrælingjar (così i norreni chiamavano i gli abitanti delle terre selvagge) Gudrid e il figlio fecero ritorno in Islanda nella città di Glaumbær, a sud dello Skagafjörður, in un momento storico in cui tutto il Paese si stava convertendo al cristianesimo. Lì ricevettero il battesimo, in una casa colonica all'interno della quale oggi è ospitato il Museo di Cultura Popolare dello Skagafjörður.
Gudrid credeva profondamente nei valori della nuova religione e volle intraprendere un lungo pellegrinaggio a piedi verso Roma, per visitare i luoghi che avevano visto nascere il cristianesimo. Si dice che sia stata accolta dal papa e che abbia avuto la possibilità di raccontargli tutto quel che aveva visto nella sua vita avventurosa.
Ritornata in Islanda, andò ad abitare accanto alla chiesa che Snorri aveva fatto edificare a Glaumbær, trascorrendo i suoi ultimi anni nel silenzio e nella preghiera. Morì nel 1009 d. C. e viene venerata ancora oggi come una santa, tanto che a Grafarholt, nuovo quartiere alla periferia nord di Reykjavik, le è stata dedicata l’unica chiesa luterana a prendere il nome da una donna.
E' difficile raccontare in poche parole la vita di una donna tanto straordinaria, che più di mille anni fa con coraggio e determinazione, seppe affrontare le insidie del mare aperto e le incognite di nuove terre da conquistare, scrivendo il proprio nome nella storia della civiltà europea.