Pagine

venerdì 28 giugno 2019

I diecimila Buddha di Po Win Taung

Nella Birmania centrale lungo la riva destra del fiume Chindwin, a duecento chilometri dalla città di Mandalay, sorge il sito sacro di Po Win Taung, la più grande collezione di pitture rupestri nel sud-est asiatico. Un santuario eccezionale e poco conosciuto, che ripercorre in mille grotte molti secoli di arte, storia e cultura buddista.


Queste grotte che da fuori non sembrano essere così degne di nota, al loro interno custodiscono un vero tesoro: tutte le gallerie furono scavate da semplici fedeli o da artisti di talento pagati da ricchi credenti, per lo più tra il XIV e il XVIII secolo. Costituiscono quindi un'antologia unica di sale di preghiera e cappelle che contengono quasi diecimila rappresentazioni del Buddha, tra sculture dipinte e pitture murali.
Ciascuno dei templi sotterranei ha una sua atmosfera speciale, a seconda dello stile artistico proprio del periodo storico in cui è stato costruito. Custodita da quattro leoni a grandezza naturale la grotta di Naraban risalente al 1550, si distingue come una delle più antiche, mentre le grotte dipinte con uno sfondo vermiglio, come quella della Rosetta, sono caratteristiche del XVII secolo e i vasti templi che imitano l'architettura europea risultano scolpiti nel XIX secolo. 
Sebbene la realizzazione delle sculture e delle pitture murali copra un arco temporale molto più ampio, la maggior parte di esse appartiene allo stile Naung Yan: il secondo periodo del cosiddetto stile Inwa o Ava, sviluppatosi tra il 1597 e il 1752. Questo stile delicato presenta personaggi allungati con visi dolci e arrotondati che prendono parte a scene pie o profane. Un magnifico esempio di questo periodo, la cosiddetta "Queen's Cave" stupisce il visitatore con un soffitto riccamente dipinto che illustra, come in un cartone animato, le ultime dieci vite del Buddha sulla via dell'illuminazione.
L'area sacra di Po Win Taung è ancora oggi molto frequentata proprio come luogo di culto. Una continuità storica dimostrata dalle offerte portate in dono dai pellegrini, i quali accendono bastoncini di incenso e depositano doni sugli altari, esattamente come raffigurato nelle pitture murali di trecento anni prima.


Relativamente ben conservati fino ad oggi, questi tesori dimenticati purtroppo stanno gradualmente subendo le devastazioni del tempo: le inondazioni del vicino fiume, la friabilità della roccia vulcanica, la mancanza di regole per gestire il numero crescente dei turisti e persino la presenza di una colonia di macachi piuttosto invadenti stanno creando dei seri problemi alla conservazione di questo patrimonio. 
Senza contare la minaccia rappresentata dai saccheggiatori, che razziano spudoratamente inestimabili gioielli di arte sacra, tagliando le teste di molte statue per rivenderle.
Anche se l'impermanenza del mondo è uno dei concetti chiave del buddismo, il nostro augurio è che i credenti di Po Win Taung troveranno insieme il modo per salvare questi tesori di bellezza strappati all'oscurità.

martedì 7 maggio 2019

La seduzione dell'avventura. Piccole scuse per fughe verso l'ignoto

"L’avventura è il viaggio della vita, l’andare verso l’incognito conoscendo solo il punto di partenza. Un’irrequietezza che da sempre ha agitato l’animo dell’uomo fin da quando, nel bel mezzo delle savane africane, ancora non uomo ma non più nemmeno scimmia, provava ad alzarsi sulle zampe posteriori per poter vedere oltre quel mare d’erba, per provare a intuire cosa c’era oltre l’orizzonte. Attraverso riflessioni costellate di racconti e aneddoti, dall'avventura dell’esploratore polare Ernest Shackleton a quella vissuta sull'Everest dallo sciatore giapponese Yuichiro Miura, dal viaggio in aerostato di Andrée alle traversate oceaniche in barca a vela di Bernard Moitessier, l’autore Alberto Sciamplicotti prova a dipanare quel filo che lega l’esistenza dell’uomo al desiderio di scoperta e di avventura. 
Una ricerca senza fine perché sempre nuova."


Prezzo: € 8,50
Numero di pagine: 96

venerdì 19 aprile 2019

Le Parole dell'Avventura: ARCIPELAGO

SIGNIFICATO Gruppo di isole; gruppo di cose simili
ETIMOLOGIA probabilmente dal greco: Aigaios pelagos Mare Egeo.

La geografia delle isole greche è diventata, nel nome del Mare Egeo, paradigmatica: l'arcipelago individua un insieme di isole simili e vicine - ed è un concetto che anche in Italia ci è molto familiare. Già questa immagine è molto bella: racconta una realtà geografica piena di fascino, viaggi in barca per spostarsi da un'isola all'altra, l'esplorazione, la ricerca di calette deserte, il divertimento sfrenato e contento che si risponde da diverse sponde, o fantasticherie su isole tropicali sparse nell'oceano, e il lieve cambiar dei costumi di lido in lido. Più importante è però il senso figurato.

Da quando Solženicyn scrisse il suo "Arcipelago Gulag", pubblicato nel '73, denunciando al mondo la realtà dei gulag russi (ossia dei campi di lavoro forzato), l'uso di questa parola ha acquisito un certo vigore; inizia infatti a rappresentare i nodi simili di un reticolo organizzato, una realtà capillare, intessuta di scambi. Se in "Arcipelago Gulag" ciò è tragicamente riferito all'organizzazione dei gulag, possiamo apprezzarne l'uso in molti contesti: gli arcipelaghi delle associazioni di volontariato, degli indirizzi di una facoltà, delle cucine tipiche regionali. Gli arcipelaghi non sono semplici costellazioni: fra le singolarità ci sta in mezzo uno scambio vivo - affrancato dal nome di morte del Mare Egeo.




Nota mitologica extra: perché il Mare Egeo si chiama così?

Teseo era partito alla volta di Creta, per sconfiggere il Minotauro e liberare gli Ateniesi dal tributo in vite umane che Minosse imponeva loro per sfamare il suo mostruoso pargolo. Egeo, padre di Teseo, si era accordato col figlio: se fosse tornato vincitore avrebbe dovuto issare sulla nave vele bianche; altrimenti, se fosse morto, le vele sarebbero dovute rimanere nere. Sappiamo che Teseo arrivò a Creta, flirtò con Arianna, figlia di Minosse, riuscendo a farsi aiutare da lei a cavarsela nel labirinto grazie al famoso filo, uccise il Minotauro, sortì e se ne saltò sulla nave coi compari ateniesi salvati dal dedalo di Minosse. Arianna venne con lui, però era noiosa, e fu mollata dopo poco sull'isola di Nasso (da qui l'espressione piantare in asso, da piantare in Nasso). Ad ogni modo Teseo si scordò la faccenda delle vele e lasciò su quelle nere. Egeo, che se ne stava sempre a scrutare il mare in attesa del figlio a Capo Sounion, vedendo le vele e intendendo erroneamente che suo figlio era morto si gettò in mare dalla scogliera. Quel mare prese il suo nome - e così tutti gli arcipelaghi.

martedì 5 marzo 2019

Alexander Selkirk, in arte Robinson Crusoe

Primo febbraio 1709. Un uomo nascosto nel folto del bosco osserva con timore l'arrivo di due navi all'orizzonte. Sulla spiaggia, dalla quale s’è allontanato di corsa, ha lasciato un fuoco acceso che viene notato immediatamente dagli uomini appena sbarcati. Il giorno dopo esce dal suo nascondiglio e dietro alla barba lunga e arruffata lascia intravedere un sorriso e si intuire un curioso senso di sollievo. Il nome di quest’uomo è Alexander Selkirk e da quattro anni e quattro mesi vive come un naufrago nella più terribile solitudine su una delle isole deserte dell’arcipelago Juan Fernández, a 670 chilometri dalla costa del Cile. Il corsaro Woodes Rogers e i marinai delle sue due navi, Duke e Dutchess, rimangono senza parole al cospetto di quest’uomo scalzo, vestito di pelli di capra e con in mano un vecchio moschetto arrugginito. Dopo quattro lunghi anni trascorsi sulla sabbia nel Pacifico, Alexander Selkirk viene finalmente salvato.
Al rientro in Inghilterra Selkirk diviene una celebrità e la storia della sua permanenza solitaria sull'isola ispira lo scrittore britannico Daniel Defoe, che nel 1719 pubblica Robinson Crusoe, uno dei grandi classici dell’avventura.

Dalla storia.. 
Alexander Selkirk nacque nel 1676 a Lower Largo, una cittadina nella contea di Fife a nord di Edimburgo. Fin da bambino manifestò un carattere oscuro e violento, tanto che rifiutato dalla sua comunità, decise di diventare marinaio. Si unì nel 1703 alla spedizione organizzata dal famoso corsaro ed esploratore inglese William Dampier, con un solo obiettivo: guadagnare molti soldi nelle spedizioni verso i Mari del Sud.
A bordo del galeone Cinque Ports guadagnò rapidamente una buona reputazione da marinaio, ma fu da subito in aperto conflitto il comandante Thomas Stradling, mantenendo invece buoni rapporti con Dampier alla guida della seconda nave, il St. George.
La spedizione nei Mari del Sud fu deludente: le navi attraversarono a malapena Cape Horn e, lungo la costa del Pacifico, le catture furono scarse. Nell'ottobre del 1704, dopo accesi conflitti, i due equipaggi si separano e durante una pausa nell'arcipelago Juan-Fernandez a più di 600 km dalla costa cilena, la Cinque Ports ancorò vicino all'isola Más a Tierra. Stradling voleva ripartire immediatamente, ma Selkirk si oppose perché, disse, la nave aveva bisogno di riparazioni prima di riprendere il largo. Chiese quindi di essere sbarcato, dichiarando che avrebbe preferito rimanere sull'isola piuttosto che continuare a navigare su una nave che imbarcava acqua e cercò di convincere alcuni compagni a disertare. Nessuno lo seguì. Felice di sbarazzarsi di quel ribelle, Stradling lo sbarcò su due piedi, non prima di avergli dato un moschetto, dei proiettili, una libbra di polvere da sparo, un coltello, una pentola, dei vestiti e una bibbia. A nulla valse ritrattare le proprie posizioni, la ciurma del Cinque Ports lo abbandonò facendo vela verso l’orizzonte, ignorando che la sua sorte sarebbe stata molto più crudele che quella di Selkirk.

Selkirk legge la sua Bibbia in una delle due capanne costruite su una montagna. Illustrazione tratta da "The Life and adventures of Alexander Selkirk, the real Robinson Crusoe: a narrative founded on facts" (archived by Google Books)

Il primo anno di vita sull'isola fu il più difficile. Lacerato dall'angoscia, Selkirk rimase vicino alla riva, scrutando febbrilmente l'orizzonte e mangiando quel poco riusciva a trovare. Solo in un secondo momento si ritirò sull'isola, scoprendo con meraviglia una quantità di risorse insospettate. Le capre, introdotte durante le incursioni spagnole, gli salvarono la vita diventando materia prima inesauribile sia per mangiare che per vestirsi
A poco a poco, Alexander riacquisì la fiducia in se stesso, creando un mondo tutto suo. Si costruì una capanna a due stanze, una per cucinare, l'altra per riposare. La fede presbiteriana lo aiutò e, stando a quanto riferì, leggendo ad alta voce la Bibbia e i salmi si salvò dalla follia. "Con la forza della ragione e una lettura assidua degli scritti, volgendo i suoi pensieri verso lo studio della navigazione, finisce per riconciliarsi perfettamente con le sue condizioni", avrebbe scritto più avanti nel suo libro "L'inglese" il giornalista Richard Steele, uno dei primi a narrare l'epopea di Selkirk.
Alexander lo ripeté più volte al suo ritorno: i suoi ultimi anni a Más a Tierra furono per lui un periodo felice, di una tranquillità che non trovò mai più dopo la sua partenza, il 2 febbraio 1709, perché il ritorno alla civiltà fu molto difficile. Il suo carattere ombroso e i suoi demoni tornarono a tormentarlo e nel 1713 dovette fuggire da Bristol dove fu accusato di aver aggredito un falegname; si rifugiò nel suo villaggio natale e visse per un po’ in una grotta dietro casa di suo padre. 
Il richiamo del mare però lo spinse dopo qualche tempo a riprendere il largo e ad unirsi alla Royal Navy nel 1720. Morì di febbre gialla un anno dopo, il 13 dicembre 1721, su una nave mercantile vicino alle coste del Ghana, dimenticato da tutti, mentre un certo Robinson Crusoe stava diventando famoso nel mondo.

… alla leggenda
Robinson Crusoe non si limitò a prendere in prestito gli abiti di Selkirk, ma in un certo senso si sovrappose alla sua figura assimilandone la memoria, creando il mito dell'uomo abbandonato da tutti, costretto a lottare per preservare la propria parte di umanità minacciata dal ritorno a una vita selvaggia. 

Robinson Crusoe, in un disegno di N. C. Wyeth, ispirato alla descrizione di Selkirk fatta da Rogers 
Foto: Christie’s Images / Scala, Firenze

Dal 1 gennaio 1966 l’isola, conosciuta come Isla Más a Tierra, l'isola più vicina alla costa continentale del Cile, si chiama ufficialmente Isla Robinson Crusoe (ne abbiamo parlato nel post dal titolo “L'isola di Robinson Crusoe”), mentre l'isola dell'arcipelago detta Isla Más Afuera (l'isola più esterna), è stata ribattezzata isola Alexander Selkirk proprio in omaggio al marinaio scozzese.

Il ricordo di Alexander Selkirk riemerse gradualmente nella memoria collettiva, grazie all'interesse di artisti e storici. Nel 2005 i ricercatori hanno trovato tracce del suo accampamento e tra racconti, fumetti e film ispirati alla sua avventura sembra proprio che sia giunto anche per lui il momento di diventare un eroe; un personaggio dalla vita burrascosa e straordinaria capace, con la sua storia, di far sognare generazioni di lettori di tutto il mondo.