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martedì 18 settembre 2018

Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, la prima esploratrice polare

Esiste un golfo lungo la costa settentrionale russa nel territorio di Krasnojarsk che fu scoperto dall'esploratore russo Vasilij Vasil'evič Prončiščev nel 1736 e che rimase a lungo senza nome. Fu solo la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij nel 1913 a battezzare "capo Prončiščeva" il piccolo promontorio all'ingresso della baia. Prončiščev e Prončiščeva, due cognomi russi, il secondo di genere femminile e legato al primo da un vincolo familiare.
Chi era dunque questa donna alla quale è stata intitolata una remota insenatura posta nella parte sud-occidentale del mare di Laptev?
Maria Prončiščeva (1710-23 settembre 1736) conosciuta anche come Tat'jana Prončiščeva, è stata la pioniera russa dell'esplorazione polare femminile.
Poco si sa della sua infanzia e della prima età adulta, ma ci è noto che lei e suo marito Vasilij Prončiščev, tenente della Marina russa imperiale, trascorsero la luna di miele a bordo della nave di Vasilij, lo Yakutsk, navigando attraverso l'insidioso ghiaccio marino e le avverse condizioni meteorologiche, sulla costa del Mar Glaciale Artico tra i fiumi Lena ed Enisey. Questo viaggio era parte di una serie esplorazioni che tra il 1733 e il 1743 costituirono la Grande spedizione del Nord, conosciuta anche come Seconda spedizione in Kamčatka, guidata dall'esploratore e cartografo danese, ufficiale della Marina dell'Impero russo, Vitus Jonassen Bering.
Iniziata sotto lo zar Pietro I di Russia e proseguita da sua figlia la zarina Anna, la Grande spedizione del Nord fu progettata per trovare nuove rotte di navigazione, in modo da collegare la Russia artica con il Nord America e l'Asia: una delle più grandi esplorazioni della storia, grazie alla quale la costa artica fu dettagliatamente mappata, permettendo agli europei di conoscere luoghi precedentemente sconosciuti, quali l'Alaska.
Secondo gli storici i Prončiščev, come molti altri esploratori a bordo dello Yakutsk, morirono di scorbuto, malattia comune tra i navigatori causata dalla prolungata carenza di vitamina C e furono sepolti alla foce del fiume Olenek. Prončiščeva aveva solo 26 anni, ma la sua eredità e la sua memoria sopravvivono tutt'oggi.
Abbiamo già descritto Maria Prončiščeva come una pioniera dell'esplorazione polare femminile, ma la storia di questa donna, che per amore del marito e dell'avventura decise di imbarcarsi in un viaggio pericoloso e pieno di incognite, era ignota all'epoca tanto quanto il suo nome. Tra le 50 persone a bordo del doppio sloop Yakutsk il 29 giugno 1735, infatti c'era anche lei la giovane moglie del capitano, ma il suo nome non compariva nell'elenco dei partecipanti ufficiali alla spedizione, motivo per cui gli storici non sono stati in grado di scoprire nulla su di lei per molto tempo.
Nei documenti della spedizione, infatti, il suo nome è menzionato solo una volta, in una frase scritta sul diario di bordo dall'esploratore russo S.I. Chelyuskin il 12 settembre 1736: 
"Alle quattro dopo mezzanotte la moglie dell'ex comandante della barca Yakutsk, Pronchishcheva, per volontà di Dio morì...".

Busti di Vasilij e Tat'jana, presso il Museo Navale di San Pietroburgo.

Un piccolo mistero però possiamo svelarlo e riguarda il vero nome di Prončiščeva.
Quando nel 1913 la spedizione di Boris Andreevič Vil'kickij chiamò "capo Prončiščeva" il promontorio all'ingresso della baia, in russo mys Prončiščevoj, il dato venne registrato sulle carte con l'abbreviazione "M. Prončiščevoj". Qualche tempo dopo negli anni '20 quella "M" venne interpretata da alcuni cartografi come Maria Prončiščeva, in riferimento alla baia, ovvero buchta Marii Prončiščevoj.

La prima esploratrice polare si chiamava quindi Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, e al pari di altre grandi viaggiatrici la sua memoria è viva ora e lo rimarrà in futuro come un riferimento geografico e umano verso cui fare vela.
Mappa russa rilevata nel 1981 e pubblicata nel 1987, raffigurante la Baia di Maria Prončiščeva

lunedì 3 settembre 2018

Le Parole dell'Avventura: PIONIERE

SIGNIFICATO Esploratore, colono; figuratamente, chi è fra i primi ad introdurre un'innovazione o a compiere una ricerca; soldato del genio
ETIMOLOGIA dal francese: pionnier, da pion pedone.

Inizialmente, nel XI secolo, il pioniere era il semplice fante, il soldato; ma qualche secolo dopo questa parola acquisì il significato specifico di soldato del genio - cioè del soldato che, invece d'essere impiegato in combattimento, compie attività di supporto, ad esempio costruendo infrastrutture, aprendo o rendendo agibili strade, o scavando fossati. Ma questa parola è entrata nell'uso corrente dell'italiano solo di recente; infatti gli venivano preferiti sinonimi più radicati nella tradizione - come guastatore o zappatore. La situazione è cambiata decisamente quando, nel XIX secolo, "pioniere" ha visto nascere il suo significato figurato di precursore, di innovatore, di primo esploratore.

L'immagine da cui questi significati si sono estesi è semplice: per i compiti che ha, il pioniere precede le truppe. Nel caso in cui non esistano vie praticabili, sono i pionieri ad aprirle, costruendo strade e gettando ponti. È quindi immediato usare questa figura per indicare le prime persone che esplorano o colonizzano un'area geografica, o rami del sapere o della tecnologia. Quindi, classicamente, si parlerà dei pionieri del Far West (con in mente Zio Paperone che cerca l'oro nel Klondike), dei pionieri dell'aviazione che attraversano l'Atlantico, dei pionieri dell'informatica e della genetica. Personaggi che variamente precedono la grande truppa umana, aprendo strade e gettando ponti.

lunedì 20 agosto 2018

L'irrinunciabile leggerezza della poesia

Quando la bellezza di un'esperienza passata viene raccontata da scrittore a lettore con parole semplici e coinvolgenti, ecco che la divulgazione scientifica si mescola al ricordo e dà vita a qualcosa che tocca l'animo di ognuno di noi.
In questo breve passo tratto dal suo libro più famoso “L’Anello di Re Salomone”, l'etologo Konrad Lorenz ricordando un episodio della sua infanzia, ci restituisce una delle pagine più vibranti della sua intera produzione letteraria.
“...recatevi con un vasetto e con un acchiappafarfalle allo stagno più vicino, immergete alcune volte la rete, e raccoglierete una miriade di organismi viventi. In quella reticella per me è ancor oggi rinchiuso l’incanto della fanciullezza... Con un simile aggeggio, a nove anni ho catturato le prime dafnie per i miei pesciolini, scoprendo così le piccole meraviglie dello stagno di acqua dolce che immediatamente mi sedusse con il suo fascino. Dopo la reticella venne la lente d’ingrandimento, dopo di questa un modesto microscopio, e con ciò il mio destino fu irrevocabilmente segnato. Chi infatti ha contemplato una volta con i propri occhi la bellezza della natura non è destinato alla morte come pensa Platen, bensì alla natura stessa, di cui ha intravisto le meraviglie. E se ha davvero degli occhi per vedere, costui diverrà inevitabilmente un naturalista.”

venerdì 27 luglio 2018

Le Parole dell'Avventura: CAIRN

La funzione più comune dei cairn è quella di punto di riferimento, specialmente in montagna dove queste costruzioni sono generalmente chiamate ometti; sono costruiti dagli escursionisti per segnalare l’andamento del sentiero in passaggi non segnalati, dove sarebbe possibile uscire dal tracciato.
Gli ometti sono impiegati anche per altri scopi, per fini storici e commemorativi, o semplicemente per ragioni decorative e artistiche.
La pratica di erigere cairn risale alla preistoria. Le opere variavano da piccole sculture di roccia a imponenti colline artificiali di pietre, a volte costruite sulla cima di rilievi naturali.




Nella mitologia dell’antica Grecia, i cairn erano associati a Ermes, il dio dei viaggi via terra. Narra la leggenda che Ermes fu citato in giudizio da Era per avere ucciso il servo preferito di lei, il mostro Argo. Tutte le altre divinità fungevano da giuria: come modo di indicare il verdetto, ricevettero dei sassi, con l’ordine di lanciarli verso il dio che a loro giudizio avesse avut o ragione.
Ermes si difese tanto abilmente che finì sepolto sotto un mucchio di pietre, e così nacque il primo cairn.
Gli ometti esprimono valori mitologici ancestrali, il bisogno esistenziale dell’uomo di segnar e il suo percorso a favore di quanti altri seguiranno la sua strada, con la piena coscienza della caducità delle cose. Come ogni espressione creativa dell’uomo i cairn trasmettono equilibri emotivi, spirituali e gravitazionali, armonie di forme e di pensiero.
Ma forse gli ometti non hanno bisogno di significati più profondi, di trasfigurazioni mitologiche o esoteriche. Forse esistono semplicemente perché è bello che ci siano!