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venerdì 27 luglio 2018

Le Parole dell'Avventura: CAIRN

La funzione più comune dei cairn è quella di punto di riferimento, specialmente in montagna dove queste costruzioni sono generalmente chiamate ometti; sono costruiti dagli escursionisti per segnalare l’andamento del sentiero in passaggi non segnalati, dove sarebbe possibile uscire dal tracciato.
Gli ometti sono impiegati anche per altri scopi, per fini storici e commemorativi, o semplicemente per ragioni decorative e artistiche.
La pratica di erigere cairn risale alla preistoria. Le opere variavano da piccole sculture di roccia a imponenti colline artificiali di pietre, a volte costruite sulla cima di rilievi naturali.




Nella mitologia dell’antica Grecia, i cairn erano associati a Ermes, il dio dei viaggi via terra. Narra la leggenda che Ermes fu citato in giudizio da Era per avere ucciso il servo preferito di lei, il mostro Argo. Tutte le altre divinità fungevano da giuria: come modo di indicare il verdetto, ricevettero dei sassi, con l’ordine di lanciarli verso il dio che a loro giudizio avesse avut o ragione.
Ermes si difese tanto abilmente che finì sepolto sotto un mucchio di pietre, e così nacque il primo cairn.
Gli ometti esprimono valori mitologici ancestrali, il bisogno esistenziale dell’uomo di segnar e il suo percorso a favore di quanti altri seguiranno la sua strada, con la piena coscienza della caducità delle cose. Come ogni espressione creativa dell’uomo i cairn trasmettono equilibri emotivi, spirituali e gravitazionali, armonie di forme e di pensiero.
Ma forse gli ometti non hanno bisogno di significati più profondi, di trasfigurazioni mitologiche o esoteriche. Forse esistono semplicemente perché è bello che ci siano!


martedì 17 luglio 2018

Io sono tormentato da...

“Io sono tormentato da un’ansia continua per le cose lontane. 
Mi piace navigare su mari proibiti e scendere su coste barbare.”

- Herman Melville


domenica 3 giugno 2018

Il Ginepro: l'arbusto delle coccole

Scriveva Antonio Maria Dalli nel manoscritto di gastronomia “Piciol lume di cucina”:
"Piglierai due once di bache di Ginepro ben lavate in Vino bianco, lasciandovele in infusione due giorni e che il Vino sia nero, mutandoglielo due volte al giorno, e le metterai a bollire in vaseto vitriato aggiongendovi una libra d’acetto di Malvasia, oncie sei di Zucaro, mezz’oncia di Canella intiera, coperto benissimo con Carta, e Coperchio, mettendolo al fuoco, facendone consumare delle trè parte una, e questa sarà ottima per Francolini, Tordi, et altri Ucelli."
Questa elaborata e appetitosa ricetta datata 1701 ci servirebbe, se avessimo sottomano pentole e ingredienti, ad ottenere una salsa di ginepro agrodolce con cui esaltare per esempio il sapore degli arrosti e della cacciagione, o smorzare il gusto pungente di un buon piatto di crauti. In realtà ci offre l’occasione per iniziare con gusto un piccolo viaggio alla scoperta di un arbusto sempreverde, pungente e intricato, le cui foglie aghiformi e appuntite assomigliano a dei veri e propri aculei.

Il ginepro (Juniperus communis) è una pianta utilizzata fin dall'antichità per se sue virtù medicamentose e la sua bontà in cucina. Il suo nome greco, arkeuthos, significa “allontanare”, “respingere un pericolo”, o un nemico; una pianta dai rami così pungenti che, fin dai tempi più remoti, è stata messa a guardia delle abitazioni per impedire ai demoni, alle disgrazie e ai malintenzionati di entrare. Si dice infatti che i rametti di ginepro appesi sulle porte di casa, tenessero lontane le streghe le quali erano irresistibilmente attratte dal contarne le numerose e ispide foglie, ma perdendo spesso il conto, erano poi costrette a ricominciare daccapo, finché il canto del gallo imponeva loro di dileguarsi con la notte.

Il folklore popolare attribuisce alle foglie di ginepro la facoltà di guarire dal morso dei serpenti, al fumo del legno arso di sanare i malati di peste e vaiolo e all’unguento a base di cenere di salvare dalla lebbra; le bacche hanno avuto fama di operare guarigioni miracolose, tanto che nel XVI secolo erano considerate una sorta di panacea universale.


Un mondo ricco di storia e di tradizioni popolari, quello legato al ginepro, pianta versatile, che tollera condizioni ambientali molto diverse proprio perché indifferente al terreno su cui cresce e capace di assumere molte forme a seconda delle caratteristiche climatiche del luogo in cui si sviluppa: dall’alberello tipico delle regioni marine, al basso cespuglio delle alte e ventose quote montane del Monte Rosa, a 3.500 m s.l.m.. 

Viene usato in cucina in molte ricette regionali a base di carne perché essendo ricco di tannini, sostanze astringenti con proprietà digestive, è perfetto per insaporire e rendere più assimilabile la selvaggina.
E se è certo che “cacciarsi in un ginepraio” significa capitare in una situazione intricata da cui si uscirà con gran fatica, è anche vero che ogni buongustaio sa quanto sia piacevole concedersi un Gin Tonic, elegante cocktail a base di gin, liquore estratto proprio dalle bacche, o meglio dai galbuli, del ginepro, gradevole da assaporare tanto prima quanto dopo cena. Tutto merito delle proprietà aperitive (dal latino aperire = aprire) del principio amaro chiamato juniperina contenuto proprio nelle bacche, che prepara l'apparato digerente sia a ricevere il cibo, sia a digerirlo. Proprio per questo in Alto-Adige è tradizione concludere il pasto con un bicchierino di Kranewitter, digestivo ottenuto dalla macerazione in alcool delle bacche di ginepro, raccolte fresche e rigorosamente a mano. 

Un'ultima curiosità: ginepro deriva dal termine celtico ”juneprus” che significa "acre" e indica il sapore aspro delle bacche, anche dette coccole, di cui i tordi sono golosissimi. E' proprio il caso di dire, quindi, che anche ai tordi piacciono le coccole.

venerdì 11 maggio 2018

L'isola di Robinson Crusoe

Realtà o finzione? Quest'isola cilena dell'arcipelago Juan Fernandez nell'Oceano Pacifico, situata a circa 670 chilometri dalla costa di Valparaíso, può legittimamente sollevare la questione. Eppure, sebbene il suo nome ricordi un romanzo, esiste ed è un luogo perfetto per gli amanti dell'avventura, un territorio vergine che per la sua straordinaria biodiversità è stato dichiarato Riserva mondiale della biosfera dall'UNESCO.


Dal 1 gennaio 1966 questa isola, conosciuta come Isla Más a Tierra, l'isola più vicina alla costa continentale del Cile, si chiama ufficialmente Isla Robinson Crusoe, in omaggio al marinaio scozzese Alexander Selkirk, che qui visse in solitudine per 52 mesi dopo esservi naufragato nel 1704 e il cui diario ispirò lo scrittore britannico Daniel Defoe per il suo famoso romanzo "Robinson Crusoe".

Un sottile lembo di terra di pochi chilometri quadrati, un luogo ideale per disconnettersi dal mondo e godersi la natura in solitudine. Le acque cristalline della Isla Robinson Crusoe ospitano una biodiversità sottomarina che attira subacquei da tutto il mondo e in uno scenario come questo non è infrequente imbattersi nell'avvistamento dell'otaria orsina sudamericana (Arctophoca australis), endemica dell'arcipelago Juan Fernández.
Gli isolani si dedicano alle attività economiche locali, che ruotano attorno al mare: la maggior parte di essi vivono infatti di pesca all'aragosta e di escursioni che consentono ai visitatori di pescare il proprio cibo per poi prepararlo nelle cucine allestite a bordo delle barche, chiamate chalupas.
Molte le ricette tradizionali, tra cui la media langosta al plato, el perol una deliziosa zuppa a base di aragosta, le empanadas di granchio dorato, il ceviche con la vidriola o il breca, entrambe gustose pietanze a base di pesce tipico dell'arcipelago.