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martedì 31 marzo 2020

Raymond Maufrais: L'enfant terrible

di Vincent Prou e Axel Graisely

Data di pubblicazione: 21/10/2019 
Editore: prestance 
Pagine: 48
Dimensioni: 22,3 cm × 29,3 cm × 0,8 cm


Care Esploratrici e cari Esploratori, vi ricordate di Raymond Maufrais? Ne abbiamo scritto qui 

e qui

ma ogni occasione ci è gradita per tirare in ballo la vita di questo giovane esploratore francese che voleva scoprire il mondo e che a soli 24 anni intraprese un pericoloso viaggio per collegare la Guyana francese e il Brasile attraverso le montagne Tumuc-Humac.

Grazie alla sceneggiatura di Axel Graisely e ai disegni di Vincent Prou ​​possiamo rivivere le gesta di Raymond e ricordare così una lezione di coraggio, umanità e amore ancora oggi unica e ineguagliata.

sabato 15 febbraio 2020

Le Parole dell'Avventura: SLOOP

Duecentodue anni fa, in una nuvolosa giornata del luglio 1818, uno sloop discese lungo lo scalo del cantiere navale di Okhten, a San Pietroburgo. Nessuno dei presenti al varo poteva immaginare di trovarsi al cospetto della nave con cui sarebbe iniziata l'esplorazione del sesto continente: l'Antartide.
"Abbiamo vagato nell'oscurità delle nebbie, tra innumerevoli enormi ghiacci galleggianti, nel timore incessante di esserne schiacciati. Freddo, neve, frequenti e forti tempeste ci accompagnavano costantemente in questi luoghi."
Con queste parole Ivan Mikhailovich Simonov, astronomo e geodesista russo, descriveva l'incertezza della navigazione sugli sloop Mirny e Vostok e l'umano timore di fronte agli inesplorati e immensi territori antartici durante la prima spedizione russa nei mari polari, guidata da Fabian Gottlieb von Bellingshausen tra il 1819 e il 1821.

Lo sloop è un tipo di veliero usato nel XVII e XVIII secolo dalla marina inglese e americana, a cui la storia dell'esplorazione artica deve alcune delle sue più grandi scoperte. Un agile scafo in legno, un solo albero su cui viene armata una grande vela aurica (vela di forma trapezoidale), un albero molto allungato montato a prua (il bompresso) dal quale si issano tre o quattro vele triangolari (i fiocchi) che permettono allo sloop di risalire il vento e stabilizzare la rotta con facilità.
Impiegato storicamente per cabotaggio, cioè la navigazione sotto costa delle navi di piccole e medie dimensioni, fu il tipo di imbarcazione acquistata nel 1900 dall'esploratore norvegese Roald Amundsen per la sua spedizione nel Mar Glaciale Artico, poiché data la sua scarsa profondità sarebbe stata perfetta per attraversare i bassi fondali degli stretti polari. La Gjøa era infatti più piccolo dei vascelli utilizzati da altre spedizioni artiche, ma poteva trasportare uno smilzo equipaggio evitando così i catastrofici fallimenti delle precedenti spedizioni, a cui avevano preso parte navi di maggiori dimensioni. Lo sloop Gjøa raggiunse per primo il Passaggio a nord-ovest durante un viaggio di tre anni.
Era un esperto comandante di sloop anche Theodore Jacobsen, che nel 1893 firmò per salpare in veste di ufficiale nella spedizione Fram, viaggio esplorativo guidato dall'esploratore norvegese Fridtjof Nansen che mirava a raggiungere il Polo nord.
Sullo sloop Yakutsk trascorsero la luna di miele la pioniera russa dell'esplorazione polare femminile Tat'jana Fedorovna Prončiščeva e suo marito Vasilij Prončiščev, tenente della Marina russa imperiale, navigando attraverso l'insidioso ghiaccio marino e le avverse condizioni meteorologiche, sulla costa del Mar Glaciale Artico tra i fiumi Lena ed Enisey. 
(Della sua vita avventurosa abbiamo già parlato nel post dal titolo "Tat'jana Fedorovna Prončiščeva, la prima esploratrice polare")


Immagine tratta da: arctickingdom.com

Un'ultima curiosità. Nell'area mediterranea lo sloop finì per essere soppiantato, nel secondo dopoguerra dall'armo Marconi o bermudiano, cioè quello che prevede come vela principale la randa triangolare d'uso comune. Il nome deriva dal fatto che nell'insieme la forma data dall'albero, dalle due crocette, dalle sartie, ricordavano al netto delle vele, le attrezzature radio di Guglielmo Marconi.

martedì 28 gennaio 2020

Jade Hameister: coraggiosa non perfetta


Sorriso limpido, sguardo verde giada, una fitta costellazione di lentiggini su un musetto vispo dall'espressione complice di chi sembra averne combinata una grossa. Jade Hameister non ne ha combinata solo una, ma tre e tre belle grosse.
Questa studentessa australiana di Melbourne, classe 2001, è entrata nella storia dell’esplorazione per aver percorso da sola oltre 1.300 km in quasi quattro mesi tra i ghiacci estremi, realizzando la cosiddetta “polar hat-trick”, la tripletta polare. Per raggiungere questo primato, che le è valso il titolo di “Young Adventurer of the Year” dell'Australian Geographic Society e la medaglia dell'Ordine dell'Australia per il servizio di esplorazione polare, ha sciato al Polo Nord, al Polo Sud e attraversato la seconda calotta polare più grande del pianeta, la Groenlandia.

Tre missioni che hanno dell’incredibile, per le quali Jade si è allenata duramente, fedele al proprio motto "Il coraggio espande le possibilità, la paura le restringe" che in forma di hashtag diventa #expandpossible. Una meravigliosa avventura umana e sportiva nata per caso nel 2013 quando, all'età di dodici anni Jade, raggiunto con il padre Paul il campo base dell'Everest, ha incontrato due alpiniste (una aveva attraversato il Polo Sud da sola sugli sci, l'altra era stata la prima donna a scalare l'Everest senza ossigeno) che l'hanno ispirata a tal punto da cambiarne le priorità e da indurla a realizzare un progetto apparentemente folle da lei stessa battezzato Jade's Polar Quest.

Nell'agosto del 2016 Jade viene invitata a raccontare la sua impresa al TEDx di Melbourne, allo scopo di ispirare le giovani donne a ignorare le pressioni sociali e a pensare in modo avventuroso. "E se le giovani donne di tutto il mondo fossero incoraggiate a essere più, anziché meno?", ha affermato nel discorso "E se l'attenzione si spostasse da come appariamo, a ciò che possiamo fare?". Alcuni uomini, a quel punto, hanno commentato il video con un “make me a sandwich” ovvero “vai a farmi un panino“, un tormentone usato dai troll di internet per deridere e screditare le donne, insinuando che dovrebbero rimanere in cucina, occupando quindi un ruolo subalterno a quello degli uomini.
Stessa sorte toccata a molte altre donne famose, tra cui Hillary Clinton alla quale, durante la corsa alla Casa Bianca del 2008, era stato dedicato un gruppo Facebook intitolato "Hillary Clinton: Stop Running for President e Make Me a Sandwich."
Ciò che questi leoni della tastiera avrebbero dovuto intuire, è che non conviene prendersi gioco una quattordicenne in grado di attraversare il Polo tornando a casa viva, sorridente e pronta a ripartire. Questa giovane donna, quel sandwich, lo ha preparato per davvero e ne ha dato notizia con classe e umorismo proprio attraverso il proprio profilo Facebook:


….Questa notte (non diventa mai buio in questo periodo dell’anno) ho sciato ancora fino al Polo… per scattare questa foto per tutti quegli uomini che hanno commentato con “Fammi un panino” il mio discorso al TEDx. Vi ho fatto un panino (prosciutto & formaggio), ora sciate per 37 giorni e 600km verso il Polo Sud e potrete mangiarlo

Una straordinaria giovane donna che con irresistibile understatement ironizza sui propri meriti e quasi a voler ridimensionare il valore dimostrato nelle sue esplorazioni al limite del possibile, adotta l'hashtag #bravenotperfect: coraggiosa, non perfetta. Un invito per le giovani donne in ogni parte del mondo, ad espandere le loro possibilità, essere attive e credere nei propri sogni.