Scriveva Antonio Maria Dalli nel manoscritto di gastronomia “Piciol lume di cucina”:
"Piglierai due once di bache di Ginepro ben lavate in Vino bianco, lasciandovele in infusione due giorni e che il Vino sia nero, mutandoglielo due volte al giorno, e le metterai a bollire in vaseto vitriato aggiongendovi una libra d’acetto di Malvasia, oncie sei di Zucaro, mezz’oncia di Canella intiera, coperto benissimo con Carta, e Coperchio, mettendolo al fuoco, facendone consumare delle trè parte una, e questa sarà ottima per Francolini, Tordi, et altri Ucelli."
Questa elaborata e appetitosa ricetta datata 1701 ci servirebbe, se avessimo sottomano pentole e ingredienti, ad ottenere una salsa di ginepro agrodolce con cui esaltare per esempio il sapore degli arrosti e della cacciagione, o smorzare il gusto pungente di un buon piatto di crauti. In realtà ci offre l’occasione per iniziare con gusto un piccolo viaggio alla scoperta di un arbusto sempreverde, pungente e intricato, le cui foglie aghiformi e appuntite assomigliano a dei veri e propri aculei.
Il ginepro (Juniperus communis) è una pianta utilizzata fin dall'antichità per se sue virtù medicamentose e la sua bontà in cucina. Il suo nome greco, arkeuthos, significa “allontanare”, “respingere un pericolo”, o un nemico; una pianta dai rami così pungenti che, fin dai tempi più remoti, è stata messa a guardia delle abitazioni per impedire ai demoni, alle disgrazie e ai malintenzionati di entrare. Si dice infatti che i rametti di ginepro appesi sulle porte di casa, tenessero lontane le streghe le quali erano irresistibilmente attratte dal contarne le numerose e ispide foglie, ma perdendo spesso il conto, erano poi costrette a ricominciare daccapo, finché il canto del gallo imponeva loro di dileguarsi con la notte.
Il folklore popolare attribuisce alle foglie di ginepro la facoltà di guarire dal morso dei serpenti, al fumo del legno arso di sanare i malati di peste e vaiolo e all’unguento a base di cenere di salvare dalla lebbra; le bacche hanno avuto fama di operare guarigioni miracolose, tanto che nel XVI secolo erano considerate una sorta di panacea universale.
Un mondo ricco di storia e di tradizioni popolari, quello legato al ginepro, pianta versatile, che tollera condizioni ambientali molto diverse proprio perché indifferente al terreno su cui cresce e capace di assumere molte forme a seconda delle caratteristiche climatiche del luogo in cui si sviluppa: dall’alberello tipico delle regioni marine, al basso cespuglio delle alte e ventose quote montane del Monte Rosa, a 3.500 m s.l.m..
Viene usato in cucina in molte ricette regionali a base di carne perché essendo ricco di tannini, sostanze astringenti con proprietà digestive, è perfetto per insaporire e rendere più assimilabile la selvaggina.
E se è certo che “cacciarsi in un ginepraio” significa capitare in una situazione intricata da cui si uscirà con gran fatica, è anche vero che ogni buongustaio sa quanto sia piacevole concedersi un Gin Tonic, elegante cocktail a base di gin, liquore estratto proprio dalle bacche, o meglio dai galbuli, del ginepro, gradevole da assaporare tanto prima quanto dopo cena. Tutto merito delle proprietà aperitive (dal latino aperire = aprire) del principio amaro chiamato juniperina contenuto proprio nelle bacche, che prepara l'apparato digerente sia a ricevere il cibo, sia a digerirlo. Proprio per questo in Alto-Adige è tradizione concludere il pasto con un bicchierino di Kranewitter, digestivo ottenuto dalla macerazione in alcool delle bacche di ginepro, raccolte fresche e rigorosamente a mano.
Un'ultima curiosità: ginepro deriva dal termine celtico ”juneprus” che significa "acre" e indica il sapore aspro delle bacche, anche dette
coccole, di cui i tordi sono golosissimi. E' proprio il caso di dire, quindi, che anche ai tordi piacciono le coccole.