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martedì 25 agosto 2020

Le Parole dell'Avventura: NOMADE

"Caravane dans le désert" di Eugène Girardet. Olio su tela, 1875.


SIGNIFICATO Popolazione che non ha dimora stabile; che si sposta continuamente
ETIMOLOGIA dal latino: nomas, a sua volta dal greco: nomas che erra per cambiare pascoli, da nemein pascolare.

Millenni fa qualcuno distinse il campo dalla pianura, scavò pozzi e canali, costruì città e templi, e diede vita allo Stato. Qualcuno invece scelse di continuare a vivere nelle tende, con gli animali, allevati e cacciati, sempre in movimento, sempre spostandosi cercando pascoli più verdi, terre più ricche in selvaggina - mercati più floridi.

Il nomade scorre, lieve, sulla terra: tutte le carovane e i cavalli non pesano quanto un palazzo; è fluido nell'organizzazione, coglie la vita che gli serve per la vita - né più né meno responsabile di un qualunque animale, nella cura del mondo, sia egli il tuareg colorato d'indaco che traversa il Sahara a dorso di dromedario, mercante di sale, tè e gemme, sia il terribile cavaliere unno che mastica carne frollata sotto la sella e caccia il nemico umano come preda nelle steppe sterminate dell'est, frustate dal vento freddo. A un tempo il nomade resta più vicino alla saggezza preistorica della bestia intelligente che vive con la natura; ora ignorante, ora fine poeta, vive affogato in superstizioni che però sono un linguaggio, una rappresentazione simbolica di una realtà che pulsa di energia. È da queste osservazioni che un uso figurato od esteso dovrebbe connotarsi.

Quello del nomade, in due parole, è come un fascino di gioventù: pare poco serio, ma è di vitalità magnetica.

Ultima nota: vista l'ampiezza precisa e la profondità poetica di questo termine, sarebbe meglio evitare di fomentarne un uso arbitrario nella spastica ricerca del politically correct. Nella stragrande maggioranza dei casi gli zingari, i gitani, i Rom o con quale altra approssimazione si vogliano chiamare (l'argomento è di profondo interesse antropologico e sociologico) sono stanziali. Non nomadi.

sabato 22 agosto 2020

Ci troviamo su una distesa di sole...


Ci troviamo su una distesa di sole di intensità abbagliante e di mare che riluce come uno specchio. Transtilla, la chiamano alle Lofoten, mare d’olio – di fegato di merluzzo – quelle rare volte che c’è una tale calma. Proprio davanti a noi ci sono cinquecento metri di profondità. Non abbiamo idea di quel che succede sotto quella membrana biancastra.


da "Il libro del mare" di Morten A. Strøksnes. Iperborea, 2015.

domenica 16 agosto 2020

Shaaw Tláa e l'oro amaro del Klondike

Il 16 agosto del 1896 George Carmack, Skookum Jim Mason e Dawson Charlie, risalendo il fiume Klondike, scoprirono casualmente dei ricchi filoni auriferi nel Rabbit Creek, un corso d’acqua nella valle del fiume Yukon. La storia ormai li ha riconosciuti come gli iniziatori di una delle più grandi corse all'oro mai avvenute, che spinse circa 100.000 individui a mettersi in viaggio verso gli insidiosi territori del Canada nord-occidentale e dell’Alaska, con il solo desiderio di trovare l’oro e di arricchirsi a dismisura. Una frenesia che accomunò masse di disperati e folle di professionisti, scrittori, fotografi, giornalisti, un sogno d’avventura e di libertà che trasformò questa gente nei pionieri della cosiddetta “Febbre del Klondike”. 

Gran parte degli storiografi ha però omesso un particolare importante, per non dire essenziale, e cioè la presenza di un quarto componente del gruppo: una donna.

Kate Carmack, moglie di George, secondo quanto tramandato dalle comunità indigene locali, sembrerebbe aver trovato la prima pepita d'oro, oltre ad aver svolto un ruolo fondamentale nella spedizione.
Kate, il cui vero nome era Shaaw Tláa era una indigena canadese Tagish che aveva perso marito e figlia durante un’epidemia di influenza. Sua madre la incoraggiò a sposare il marito della sorella defunta, un uomo bianco di nome George Washington Carmack, che nel 1887 si era messo in società con il fratello di Shaaw Tláa, Keish, conosciuto come Skookum Jim Mason e con suo nipote Káa Goox, noto come Dawson Charlie, per indagare il sottosuolo alla ricerca dell’oro. Il matrimonio tra i due fu presto celebrato, Carmack le diede il nome di Kate e la donna iniziò a viaggiare con i tre uomini. Per i successivi sei anni, la coppia visse nella regione di Forty Mile dello Yukon, dove George cacciava e Shaaw Tláa cuciva abiti invernali, guanti e mukluks (morbidi stivali indossati dai locali, tradizionalmente fatti di pelle di caribù) da rivendere ai cercatori d’oro, ricavando così il necessario per mandare avanti la famiglia. Nel gennaio 1893, Kate diede alla luce una bambina, Graphie Grace Carmack, e tre anni e mezzo dopo avvenne la scoperta dell’oro nel Rabbit Creek, oggi noto come Bonanza Creek, che fruttò alla coppia la bellezza di 100.000 dollari.

Gli anni a seguire furono complessi e dolorosi: George, esaltato dall’improvvisa ricchezza, cercò di rimandare Shaaw Tláa al suo clan per poter sposare Marguerite Saftig Laimee, una donna di dubbia reputazione e proprietaria di un bordello a Dawson City. Riuscì nel suo intento perché il loro matrimonio non era stato celebrato ufficialmente e malgrado i due stessero insieme da tredici anni e avessero una figlia, la richiesta di divorzio invocata da Shaaw Tláa non poteva sussistere.

George Carmack morì a Vancouver nel 1922, Marguerite ereditò la sua ingente ricchezza e si spense nel 1949. Shaaw Tláa dopo aver perso la custodia di sua figlia Graphie Grace, tornò al suo clan Tagish e visse gli ultimi anni della sua vita grazie a una misera pensione governativa in una capanna che Skookum Jim aveva costruito per lei a Carcross. 
Morì nel 1920 durante un'epidemia di influenza. 
Aveva 63 anni.

sabato 8 agosto 2020

La grazia e il coraggio: l'indimenticabile traversata di Florence Chadwick

Quando raggiunse la costa di Dover, in Inghilterra, l'otto agosto 1950, dopo aver nuotato dalla Francia all'Inghilterra, Florence Chadwick disse:

"Mi sento bene. Sono abbastanza preparata per tornare indietro a nuoto".

Dopo due anni di duro allenamento aveva stabilito il nuovo record mondiale di traversata, nuotando da Cape Gris-Nez, in Francia, a Dover in Inghilterra, in 13 ore e 20 minuti, battendo il precedente primato stabilito ventiquattro anni prima dalla connazionale Gertrude Ederle, che traversò in 14 ore, 39 minuti e 24 secondi.


In realtà non tornò subito indietro a nuoto, ma nel 1951 raggiunse nuovamente Dover in cui trascorse undici settimane, aspettando il bel tempo e condizioni favorevoli. L'undici settembre 1951 Chadwick decise finalmente di nuotare, nonostante la fitta nebbia e i forti venti contrari.

A questo punto dobbiamo fare una riflessione, a partire da qualche dato oggettivo. A causa dei forti venti e delle maree, questa rotta che attraversa la Manica da Dover a Sangatte, è sempre stata considerata molto impegnativa, più difficile della rotta Francia-Inghilterra. I nuotatori che l'avevano preceduta infatti avevano evitato questa impresa e nessuna donna l'aveva mai completata; ma Florence, con un tempo record di 16 ore e 22 minuti riuscì a completarla.
Durante il tragitto dovette assumere farmaci contro il mal di mare, sopportare strenuamente il freddo e la fatica, ma riuscì splendidamente a concludere la traversata. Sulla sponda opposta il sindaco della città di Sangatte la accolse sorridente e commosso per congratularsi. 

Nuotare su lunghe distanze, come la maratona e altri sport di resistenza, richiede agli atleti un'ottima forma fisica, una gran tecnica e una gran concentrazione. La maggior parte degli atleti che si cimentano in una traversata, esegue tra le 60 e le 70 bracciate al minuto. Pertanto, una nuotata di 10 ore richiederebbe 42.000 bracciate e una nuotata di 14 ore richiederebbe 58.000 bracciate: un'impresa incredibile. Per non parlare dei pericoli che si possono incontrare in acque libere: occorre coraggio per attraversare la notte oscura, la nebbia, per fronteggiare la presenza di relitti, di macchie di petrolio e di squali e meduse. 
Se ci pensiamo bene malgrado sia una traversata di sole ventitré miglia, un nuotatore potrebbe dover faticare per molte più miglia, assecondando correnti contrarie, maree, vento, onde alte e traffico marittimo.

Ma Florence Chadwick non era sola a nuotare in quel freddo mare di confine. Insieme a lei c'era l'immagine, l'esempio e l'ispirazione datale da Gertrude Ederle, la prima donna ad attraversare a nuoto la Manica. Gertrude compì la traversata nel 1926 e, sebbene la gente pensasse che le donne non fossero in grado di realizzare una tale impresa, non solo la completò, ma batté il record stabilito da un uomo, di quasi due ore. Chadwick, volendo superare Ederle, diventò la prima donna a nuotare nella Manica in entrambe le direzioni, dalla Francia all'Inghilterra e dall'Inghilterra alla Francia.

Al suo rientro negli Stati Uniti venne acclamata come un'eroina nazionale. Radio e televisioni fecero a gara per ospitarla e farle raccontare le emozioni di quell'avventura ai limiti dell'impossibile. Divenne testimonial in molte pubblicità e madrina di manifestazioni sportive.
Viaggiò in tutto il Paese tenendo conferenze sul valore dello sport e dell'attività in acqua, insegnando ai bambini a nuotare e divenendo un esempio per molte donne. Insegnò loro ad affrontare le paure e a superare i limiti imposti da una società che non credeva nelle loro possibilità.
Seguendo l'esempio di una donna, Florence Chadwick ispirò migliaia di persone ad avere fiducia in se stesse e a spingersi al di là dei confini del possibile. 
Con grazia, umiltà e coraggio.