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martedì 28 gennaio 2020

Jade Hameister: coraggiosa non perfetta


Sorriso limpido, sguardo verde giada, una fitta costellazione di lentiggini su un musetto vispo dall'espressione complice di chi sembra averne combinata una grossa. Jade Hameister non ne ha combinata solo una, ma tre e tre belle grosse.
Questa studentessa australiana di Melbourne, classe 2001, è entrata nella storia dell’esplorazione per aver percorso da sola oltre 1.300 km in quasi quattro mesi tra i ghiacci estremi, realizzando la cosiddetta “polar hat-trick”, la tripletta polare. Per raggiungere questo primato, che le è valso il titolo di “Young Adventurer of the Year” dell'Australian Geographic Society e la medaglia dell'Ordine dell'Australia per il servizio di esplorazione polare, ha sciato al Polo Nord, al Polo Sud e attraversato la seconda calotta polare più grande del pianeta, la Groenlandia.

Tre missioni che hanno dell’incredibile, per le quali Jade si è allenata duramente, fedele al proprio motto "Il coraggio espande le possibilità, la paura le restringe" che in forma di hashtag diventa #expandpossible. Una meravigliosa avventura umana e sportiva nata per caso nel 2013 quando, all'età di dodici anni Jade, raggiunto con il padre Paul il campo base dell'Everest, ha incontrato due alpiniste (una aveva attraversato il Polo Sud da sola sugli sci, l'altra era stata la prima donna a scalare l'Everest senza ossigeno) che l'hanno ispirata a tal punto da cambiarne le priorità e da indurla a realizzare un progetto apparentemente folle da lei stessa battezzato Jade's Polar Quest.

Nell'agosto del 2016 Jade viene invitata a raccontare la sua impresa al TEDx di Melbourne, allo scopo di ispirare le giovani donne a ignorare le pressioni sociali e a pensare in modo avventuroso. "E se le giovani donne di tutto il mondo fossero incoraggiate a essere più, anziché meno?", ha affermato nel discorso "E se l'attenzione si spostasse da come appariamo, a ciò che possiamo fare?". Alcuni uomini, a quel punto, hanno commentato il video con un “make me a sandwich” ovvero “vai a farmi un panino“, un tormentone usato dai troll di internet per deridere e screditare le donne, insinuando che dovrebbero rimanere in cucina, occupando quindi un ruolo subalterno a quello degli uomini.
Stessa sorte toccata a molte altre donne famose, tra cui Hillary Clinton alla quale, durante la corsa alla Casa Bianca del 2008, era stato dedicato un gruppo Facebook intitolato "Hillary Clinton: Stop Running for President e Make Me a Sandwich."
Ciò che questi leoni della tastiera avrebbero dovuto intuire, è che non conviene prendersi gioco una quattordicenne in grado di attraversare il Polo tornando a casa viva, sorridente e pronta a ripartire. Questa giovane donna, quel sandwich, lo ha preparato per davvero e ne ha dato notizia con classe e umorismo proprio attraverso il proprio profilo Facebook:


….Questa notte (non diventa mai buio in questo periodo dell’anno) ho sciato ancora fino al Polo… per scattare questa foto per tutti quegli uomini che hanno commentato con “Fammi un panino” il mio discorso al TEDx. Vi ho fatto un panino (prosciutto & formaggio), ora sciate per 37 giorni e 600km verso il Polo Sud e potrete mangiarlo

Una straordinaria giovane donna che con irresistibile understatement ironizza sui propri meriti e quasi a voler ridimensionare il valore dimostrato nelle sue esplorazioni al limite del possibile, adotta l'hashtag #bravenotperfect: coraggiosa, non perfetta. Un invito per le giovani donne in ogni parte del mondo, ad espandere le loro possibilità, essere attive e credere nei propri sogni.

La tripletta polare di Jade

Tre missioni che hanno dell’incredibile, con cui Jade Hameister è entrata nella storia dell’esplorazione per aver percorso da sola oltre 1.300 km in quasi quattro mesi tra i ghiacci estremi, realizzando la “polar hat-trick”, la tripletta polare.
"Il coraggio espande le possibilità, la paura le restringe", un motto che in forma di hashtag diventa #expandpossible e un progetto apparentemente folle da lei stessa battezzato Jade's Polar Quest.

Il 4 aprile 2016, Jade è diventata la persona più giovane della storia ad aver sciato al Polo Nord, partendo da un qualsiasi punto al di fuori dell’ultimo grado. Ha percorso con gli sci ai piedi ben 150 km ad una temperatura di -30°, trascinando il suo equipaggiamento stipato in una slitta pesante quanto lei: otto/dieci ore di marcia al giorno per 11 giorni, il viaggio più lungo compiuto da una donna al Polo Nord da due anni a quella data. 
Ogni giorno Jade ha dovuto superare creste di pressione, cioè lastre di ghiaccio verticali che si formano in seguito alla frattura del ghiaccio marino, e affrontare le insidie dei leads, i canali di mare che si aprono come crepe lungo la calotta polare. Senza contare che la rotta progettata è stata la più lunga e complicata da portare a termine, ma anche l'unica possibile, poiché la via che partiva dal Canada non era più praticabile.
Il riscaldamento globale ha grandemente influito sulla deriva del ghiaccio marino nell'Oceano Artico, un territorio estremo dove tutto si muove a seconda delle correnti oceaniche e del vento. Per questa ragione ogni mattina al risveglio, la spedizione scopriva di essersi allontanata dalla rotta su una forte corrente dell'oceano orientale, per colpa di quella che viene definita la "deriva negativa".
Un'impresa che comprendeva anche altri rischi come cadere nelle gelide acque artiche per via del ghiaccio sottile e incontrare orsi polari, di cui Jade per fortuna ha trovato solo tracce nel ghiaccio.

Nel maggio 2017, Jade ha portato a termine un’eccezionale avventura, compiuta per la prima volta dal celebre esploratore norvegese Fritjof Nansen, nel 1888.
In soli 27 giorni questa tenace ragazza ha attraversato la calotta glaciale della Groenlandia, percorrendo 550 km su sci e ramponi e trainando una slitta di oltre 80 kg. E' diventata la più giovane donna della storia ad aver realizzato un’impresa simile senza supporti esterni, iniziando il viaggio a Kangerlussuaq, sulla costa occidentale della Groenlandia, per concluderlo sulla costa orientale presso Isortoq Hut il 4 giugno 2017.
Una media di nove ore al giorno di marcia, coprendo quotidianamente circa 25 km a una temperatura di -25 gradi.
Se tutto ciò non bastasse, aggiungiamo che Jade ha affrontato, in questa remota area del pianeta, delle condizioni meteorologiche estreme; ha conosciuto il Piteraq, parola Inuit che significa "agguato", un potente vento catabatico, una massa d’aria glaciale e impetuosa che spira seguendo l’inclinazione orografica delle colline o delle montagne artiche e che può raggiungere una velocità di oltre 200 km/h. Il Piteraq si forma quando l'aria ad alta densità viene trascinata giù da un pendio, o da una quota elevata sotto la spinta della gravità.
Jade ha lamentato un lieve pizzicore sulla guancia sinistra dopo alcuni giorni di gelo e di vento freddo.
Niente più.

Il 2018 è per Jade l’anno dei record: dopo un epico viaggio di 37 giorni attraverso una nuova rotta passante per il Kansas Glacier, dalla Costa di Amundsen in Antartide, a soli 16 anni è diventata la persona più giovane a sciare dalla costa dell'Antartide al Polo Sud senza supporto né assistenza, la prima donna australiana nella storia a sciare dalla costa al Polo senza supporto né assistenza, la prima donna nella storia a stabilire una nuova rotta per il Polo Sud senza supporto né assistenza, la più giovane a sciare su entrambi i Poli e a completare il “Polar Hat Trick”, la tripletta polare.
Un viaggio in cui ha coperto la bellezza di quasi 600 km senza rifornimenti aerei, trainando una slitta del peso di circa 100 kg; prima di Jade solo l’esploratore norvegese Roald Amundsen era riuscito a stabilire una nuova rotta per il Polo Sud nel 1911, seguito dal suo competitore britannico Robert Falcon Scott nel 1912.
Condizioni meteorologiche difficili, venti estremi e temperature brutali non hanno interrotto il percorso con cui Jade è riuscita a tracciare una nuova via attraverso l’inesplorato Kansas Glacier nei monti Transantartici, uno dei ghiacciai più meridionali del mondo. E’ stata a tutti gli effetti un’impresa esplorativa di altissimo livello, che ha permesso a lei e al suo team un’approfondita ricognizione del territorio che la US Geological Society ha poi reso ufficiale.

venerdì 27 dicembre 2019

La vita della Norvegia è tutta sul mare - II° parte

Articolo di Felice Bellotti tratto da La Stampa del 16 febbraio 1940

Una tonnellata e mezza per abitante
Abbiamo raccontata tutta questa storia per dimostrare quale importanza sulla vita nazionale norvegese abbia la marina mercantile che, all'inizio della guerra, occupava il quinto posto fra quelle di tutto il mondo, preceduta da quelle dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, del Giappone e della Germania e seguita da quella dell’Italia. La flotta norvegese è infatti composta (1° gennaio 1940) da 4391 navi stazzanti complessivamente 4.845.655 tonnellate. Poiché la popolazione totale della Norvegia è inferiore ai tre milioni di abitanti, si viene ad avere a disposizione per ogni cittadino oltre una tonnellata e mezzo di naviglio. Anche l’Inghilterra è battuta da lontano.
Il livello raggiunto dalla flotta norvegese al 1° gennaio 1940 è il più alto finora registrato. Dalle statistiche risulta che nel 1915 il tonnellaggio complessivo era di 2.594.199 tonn.; nel 1937 supera di poco i 4 milioni; oggi sfiora i 5, il che dimostra che in tre anni la flotta norvegese è aumentata di circa 700mila tonnellate. Cifra ragguardevole sotto tutti i rapporti, che dimostra, inoltre, come una grande percentuale del naviglio che batte bandiera norvegese sia moderno.
Circa 1 milione e duecentomila tonnellate sono rappresentate da navi petroliere, molte delle quali, le più moderne, costruite in Italia.

La flotta norvegese è certamente la più strana del mondo. Esistono centinaia di navi che solcano i mari del Pacifico o dell’Oceano Indiano, le quali non hanno mai visto un porto norvegese. Sono state impostate, varate, allestite, hanno preso il mare battendo la bandiera di Re Haakon e sono invecchiate tanto da finire nei bacini di disarmo senza aver mai avvistati i pittoreschi fiordi della loro Patria. Ma l’equipaggio è sempre formato da norvegesi, gente che se ne va per interi lustri e torna per trovare magari sposata la figlia che «prima» andava a scuola.

«La nostra vita è sul mare!» dicono i norvegesi ed affermano la grande verità della loro esistenza. «Navigare necesse!» ci diceva il signor Bryn, il giorno che ci volle ricevere per raccontarci vita e miracoli della «sua» flotta.

Per questo la vita nazionale della Norvegia attraversa momenti tanto difficili. La minaccia sovietica, la guerra in Europa, il futuro destino del Paese, tutte queste cose sono nelle mani di Dio e nessuno può oggi prevedere ciò che sarà. Ma il mare non è più libero, la flotta trova inciampi per funzionare, le derrate non giungono più, il carbone scarseggia, i prezzi aumentano, la disoccupazione diventa insopportabile per l’erario che è costretto a tassare come non mai i proprii cittadini.
«Noi non abbiamo colonie, non abbiamo mai mirato a prendere territori altrui, ci siamo creati col coraggio dei nostri marinai e col nostro lavoro una «colonia flottante». Perché ce la devono portar via, impedendole di navigare?». Questo ci diceva un signore, di nostra conoscenza. E nelle sue parole compendiava la più grave questione — quelle politiche a parte – che sia sorta in Norvegia dall'inizio della guerra, questione che noi studieremo accuratamente nel corso della nostra inchiesta attraverso la Norvegia.


lunedì 23 dicembre 2019

La vita della Norvegia è tutta sul mare - I° parte

Articolo di Felice Bellotti tratto da La Stampa del 16 febbraio 1940

Oslo, febbraio.
Io credo che non ci sia ragazzo al mondo il quale non abbia avuto per compagno d’avventure, nel mondo senza confini della fantasia, un marinaio norvegese. Norvegia e mare costituiscono, anche per chi non conosca questo stranissimo Paese, quasi un corpo unico, e davvero sarebbe difficile impresa separare quassù la terra dalle acque, perché il mare penetra profondamente nel cuore del Paese coi pittoreschi fiordi, lunghi alle volte centinaia di chilometri, creando una intricatissima rete di canali – che chiamiamo cosi per renderne l’idea anche se non sono affatto canali perché sono bracci di mare.


Alle origini
Questa configurazione geografica della Norvegia ha logicamente portato i primi uomini che giunsero su queste inospitali rocce a cercare nel mare i loro mezzi di sostentamento. Le poche traccie di archeologia esistenti consistono in primitivi disegni scalfiti nella roccia e rappresentanti scene di pesca. Per centinaia di anni, forse per migliaia, i biondi figli del nord che nessuno saprà mai da che parte siano giunti quassù, si sono accontentati della misera vita del pescatore, costruendo le loro capanne con pietre cementate dalle grasse e robuste alghe che rappresentano la sola vegetazione delle zone più settentrionali. Poi gli infiniti orizzonti del mare fascinarono questi uomini che di generazione in generazione avevano finito per prendere confidenza ed amore colle onde. Siamo all'epoca dei leggendari Vichinghi, i formidabili navigatori che si spinsero in tutte le terre conosciute e sconosciute del mondo medioevale, raggiungendo le coste gelide della Groenlandia e il caldo granaio siciliano. 

Audacissimi navigatori, questi antenati dei norvegesi, ricevendo accoglienze piuttosto ostili in tutte le contrade che visitavano, sia per il loro carattere rissoso sia perché, privi di donne nel corso dei loro venturosi viaggi, pretendevano, giunti a terra, di prendersi quelle degli altri, a un certo punto finirono per convincersi che il loro rifugio più sicuro era rappresentato dalle navi. Quel lontanissimo giorno ha inizio la bellissima storia della marina norvegese, arma da preda nei primi tempi e mezzo di commercio poi, quando la pirateria cominciò a diventare troppo pericolosa e poco redditizia per la concorrenza spietata dei Saraceni nel Mediterraneo e dei Britanni e degli Olandesi nei mari settentrionali.

Da allora la marina mercantile è sempre stata alla base di tutta la vita nazionale norvegese. Guerre e prosperità, crisi politiche ed economiche, tutte queste faccende fecero e fanno costantemente capo alla flotta. Fu per spalleggiarsi a vicenda che i norvegesi, nel 872, decisero di formare una unica nazione, in seno alla quale le varie tribù si impegnavano a prestarsi mutuo soccorso contro il nemico. Ma questa è storia vecchia, piena di leggende assai belle, ma che esulano dal nostro compito.


La separazione dalla Svezia
La più importante crisi politica generata dalla flotta in tempi moderni è quella occorsa trentacinque anni or sono, quando la Norvegia decise di separarsi dalla Svezia e di formare un Regno a sé. I due Paesi scandinavi vivevano pacificamente uniti sotto lo stesso simbolo reale, da quando, imperversando in Europa la sanguinosa gloria di Napoleone, un Bernadotte era salito al trono, Re di Svezia e di Norvegia. I due Paesi avevano allora propri Parlamenti, propri Governi, proprie leggi, propria amministrazione, costituivano, insomma, un tipico caso di «unione personale» sotto lo stesso Re, avendo in comune solamente il Ministero degli Affari Esteri, del quale potevano far parte funzionari o diplomatici sia norvegesi che svedesi. Ora avvenne che i funzionari svedesi fossero assai più numerosi di quelli norvegesi e che questi, invece, sentissero la necessità di avere nei ruoli la maggior parta dei consoli per tutelare gli interessi della flotta sparsa in tutti i mari del mondo. Sembra infatti che i consoli svedesi se ne infischiassero tranquillamente degli interessi di questi biondi marinai che partivano dalla Norvegia per farci ritorno dopo due o tre lustri. Vera o non vera questa faccenda, sta di fatto che, nel 1905, regnando Oscar II Bernadotte, la crisi scoppiò. 
Non accadde nulla di straordinario: il governo norvegese presentò le dimissioni a se stesso (questo è il solo particolare curioso) e poiché costituzionalmente il Re non poteva essere Re senza il Governo, Oscar II, automaticamente, cessò di essere Re di Norvegia. I pacifici norvegesi, allora, chiesero a Stoccolma un principe del sangue per farne il loro Sovrano, ma gli svedesi erano furibondi e risposero negativamente, dicendo che di Re ce n’è uno solo e che se volevano Oscar II bene, altrimenti andassero a cercarsene un altro. Dove? La scelta non fu difficile: chi aveva regnato sino al 1814 sulla Norvegia? La Casa di Glücksburg. Dov’era andata a finire questa Reale Famiglia? In Danimarca. Bene, una missione partì per Copenaghen, si presentò a corte e chiese che venisse restituita alla Norvegia la famiglia dei suoi legittimi Sovrani. I Danesi trovarono che la richiesta era davvero eccessiva, ma concessero che un principe partisse e Haakon VII di Glücksburg (che vuol dire «Rocca della Fortuna») divenne Re di Norvegia. 
Così i norvegesi furono in condizione di creare un Ministero degli Affari Esteri e di nominare tutti i consoli che vollero. Questi funzionari naturalmente, uscirono tutti dalle Compagnie di Navigazione e si sparsero per il mondo tutti intenti a difendere gli interessi dei loro padroni effettivi, convintissimi che servivano la Patria perchè la flotta e la Norvegia, per loro, sono esattamente la medesima cosa. Tutta questa faccenda si svolse tra il 29 maggio e il 7 giugno 1905. Se ne parlò moltissimo nel mondo, ma allora la mentalità era diversa e la borghesia frivola di quel felice periodo prebellico volle considerare lo sconquasso come un argomento per pettegolare su una Famiglia Reale piuttosto che la verità, rappresentata da una questione di marinai e di pescatori che poteva sembrare plebea, ma che rappresentava la vera vita del popolo norvegese. Dunque, nel 1905, i norvegesi, per difendere gli interessi della loro flotta, mandarono a spasso un Re e se ne presero un altro, lo stesso che regna ora con grande soddisfazione di tutti, perché Haakon VII è un sovrano amatissimo.