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martedì 9 luglio 2019

Le Parole dell'Avventura: FILIBUSTIERE

SIGNIFICATO Pirata del XVII secolo; persona disonesta
ETIMOLOGIA dall'inglese freebooter composto di free libero e booty bottino - saccheggiatore libero, nome con cui venivano indicati i bucanieri inglesi.
PAROLA DELLE ORIGINI
Filibustieri, bucanieri, corsari, pirati. Vogliono dire la stessa cosa? Non esattamente.

I bucanieri erano dei cacciatori di frodo dell'entroterra, che traevano il loro nome da [boucan] la graticola su cui arrostivano la carne - secondo l'usanza dominicana del [barbicoa], da cui deriva [barbecue]. Rozzi e non ben organizzati, la loro storia cambiò con una particolare alleanza.

Dei fuggitivi olandesi, francesi e inglesi, cacciati dagli Spagnoli da altre isole delle Antille, si riunirono sull'isola di Tortuga all'inizio del XVII secolo, e con la connivenza istituzionale dei rispettivi Stati fondarono la "Filibusteria", associazione che assaltava i ricchi possedimenti e i galeoni spagnoli. Ma l'appoggio istituzionale non era ufficiale, e in questo i filibustieri si distinguevano dai corsari, che invece possedevano una "lettera di corsa" o "di marca" firmata dal sovrano, con cui erano autorizzati a saccheggiare le navi mercantili nemiche (mentre i pirati erano fuorilegge autocratici, senza alcun legame istituzionale). Ad ogni modo l'odio comune per gli Spagnoli fece unire i bucanieri ai filibustieri, e il nome di questi ultimi ebbe una tale risonanza da essere utilizzato anche nel Vecchio Continente per indicare le bande di saccheggiatori; infine questo termine passò ad indicare semplicemente le persone disoneste, con un colore che rifacendosi a tanta storia impreziosisce il discorso in cui sia inserito.

Finito il 1700, le potenze marittime decisero di porre fine al potere della Filibusteria, e i filibustieri dei Caraibi furono dispersi, sopravvivendo come avventurieri in Africa e nel Pacifico - finché anche le ultime parti bianche della cartina del mondo non furono riempite.

venerdì 28 giugno 2019

I diecimila Buddha di Po Win Taung

Nella Birmania centrale lungo la riva destra del fiume Chindwin, a duecento chilometri dalla città di Mandalay, sorge il sito sacro di Po Win Taung, la più grande collezione di pitture rupestri nel sud-est asiatico. Un santuario eccezionale e poco conosciuto, che ripercorre in mille grotte molti secoli di arte, storia e cultura buddista.


Queste grotte che da fuori non sembrano essere così degne di nota, al loro interno custodiscono un vero tesoro: tutte le gallerie furono scavate da semplici fedeli o da artisti di talento pagati da ricchi credenti, per lo più tra il XIV e il XVIII secolo. Costituiscono quindi un'antologia unica di sale di preghiera e cappelle che contengono quasi diecimila rappresentazioni del Buddha, tra sculture dipinte e pitture murali.
Ciascuno dei templi sotterranei ha una sua atmosfera speciale, a seconda dello stile artistico proprio del periodo storico in cui è stato costruito. Custodita da quattro leoni a grandezza naturale la grotta di Naraban risalente al 1550, si distingue come una delle più antiche, mentre le grotte dipinte con uno sfondo vermiglio, come quella della Rosetta, sono caratteristiche del XVII secolo e i vasti templi che imitano l'architettura europea risultano scolpiti nel XIX secolo. 
Sebbene la realizzazione delle sculture e delle pitture murali copra un arco temporale molto più ampio, la maggior parte di esse appartiene allo stile Naung Yan: il secondo periodo del cosiddetto stile Inwa o Ava, sviluppatosi tra il 1597 e il 1752. Questo stile delicato presenta personaggi allungati con visi dolci e arrotondati che prendono parte a scene pie o profane. Un magnifico esempio di questo periodo, la cosiddetta "Queen's Cave" stupisce il visitatore con un soffitto riccamente dipinto che illustra, come in un cartone animato, le ultime dieci vite del Buddha sulla via dell'illuminazione.
L'area sacra di Po Win Taung è ancora oggi molto frequentata proprio come luogo di culto. Una continuità storica dimostrata dalle offerte portate in dono dai pellegrini, i quali accendono bastoncini di incenso e depositano doni sugli altari, esattamente come raffigurato nelle pitture murali di trecento anni prima.


Relativamente ben conservati fino ad oggi, questi tesori dimenticati purtroppo stanno gradualmente subendo le devastazioni del tempo: le inondazioni del vicino fiume, la friabilità della roccia vulcanica, la mancanza di regole per gestire il numero crescente dei turisti e persino la presenza di una colonia di macachi piuttosto invadenti stanno creando dei seri problemi alla conservazione di questo patrimonio. 
Senza contare la minaccia rappresentata dai saccheggiatori, che razziano spudoratamente inestimabili gioielli di arte sacra, tagliando le teste di molte statue per rivenderle.
Anche se l'impermanenza del mondo è uno dei concetti chiave del buddismo, il nostro augurio è che i credenti di Po Win Taung troveranno insieme il modo per salvare questi tesori di bellezza strappati all'oscurità.

martedì 7 maggio 2019

La seduzione dell'avventura. Piccole scuse per fughe verso l'ignoto

"L’avventura è il viaggio della vita, l’andare verso l’incognito conoscendo solo il punto di partenza. Un’irrequietezza che da sempre ha agitato l’animo dell’uomo fin da quando, nel bel mezzo delle savane africane, ancora non uomo ma non più nemmeno scimmia, provava ad alzarsi sulle zampe posteriori per poter vedere oltre quel mare d’erba, per provare a intuire cosa c’era oltre l’orizzonte. Attraverso riflessioni costellate di racconti e aneddoti, dall'avventura dell’esploratore polare Ernest Shackleton a quella vissuta sull'Everest dallo sciatore giapponese Yuichiro Miura, dal viaggio in aerostato di Andrée alle traversate oceaniche in barca a vela di Bernard Moitessier, l’autore Alberto Sciamplicotti prova a dipanare quel filo che lega l’esistenza dell’uomo al desiderio di scoperta e di avventura. 
Una ricerca senza fine perché sempre nuova."


Prezzo: € 8,50
Numero di pagine: 96

venerdì 19 aprile 2019

Le Parole dell'Avventura: ARCIPELAGO

SIGNIFICATO Gruppo di isole; gruppo di cose simili
ETIMOLOGIA probabilmente dal greco: Aigaios pelagos Mare Egeo.

La geografia delle isole greche è diventata, nel nome del Mare Egeo, paradigmatica: l'arcipelago individua un insieme di isole simili e vicine - ed è un concetto che anche in Italia ci è molto familiare. Già questa immagine è molto bella: racconta una realtà geografica piena di fascino, viaggi in barca per spostarsi da un'isola all'altra, l'esplorazione, la ricerca di calette deserte, il divertimento sfrenato e contento che si risponde da diverse sponde, o fantasticherie su isole tropicali sparse nell'oceano, e il lieve cambiar dei costumi di lido in lido. Più importante è però il senso figurato.

Da quando Solženicyn scrisse il suo "Arcipelago Gulag", pubblicato nel '73, denunciando al mondo la realtà dei gulag russi (ossia dei campi di lavoro forzato), l'uso di questa parola ha acquisito un certo vigore; inizia infatti a rappresentare i nodi simili di un reticolo organizzato, una realtà capillare, intessuta di scambi. Se in "Arcipelago Gulag" ciò è tragicamente riferito all'organizzazione dei gulag, possiamo apprezzarne l'uso in molti contesti: gli arcipelaghi delle associazioni di volontariato, degli indirizzi di una facoltà, delle cucine tipiche regionali. Gli arcipelaghi non sono semplici costellazioni: fra le singolarità ci sta in mezzo uno scambio vivo - affrancato dal nome di morte del Mare Egeo.




Nota mitologica extra: perché il Mare Egeo si chiama così?

Teseo era partito alla volta di Creta, per sconfiggere il Minotauro e liberare gli Ateniesi dal tributo in vite umane che Minosse imponeva loro per sfamare il suo mostruoso pargolo. Egeo, padre di Teseo, si era accordato col figlio: se fosse tornato vincitore avrebbe dovuto issare sulla nave vele bianche; altrimenti, se fosse morto, le vele sarebbero dovute rimanere nere. Sappiamo che Teseo arrivò a Creta, flirtò con Arianna, figlia di Minosse, riuscendo a farsi aiutare da lei a cavarsela nel labirinto grazie al famoso filo, uccise il Minotauro, sortì e se ne saltò sulla nave coi compari ateniesi salvati dal dedalo di Minosse. Arianna venne con lui, però era noiosa, e fu mollata dopo poco sull'isola di Nasso (da qui l'espressione piantare in asso, da piantare in Nasso). Ad ogni modo Teseo si scordò la faccenda delle vele e lasciò su quelle nere. Egeo, che se ne stava sempre a scrutare il mare in attesa del figlio a Capo Sounion, vedendo le vele e intendendo erroneamente che suo figlio era morto si gettò in mare dalla scogliera. Quel mare prese il suo nome - e così tutti gli arcipelaghi.